NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     E così presero commiato, e andarono alla via loro. Cavalcava sempre il frate innanzi, e ogni volta ch'egli si volgeva, egli si vedeva il prete addietro, il quale non faceva se non pensare il caso occorso, perché gli pareva cosa nuova. Onde il frate l'aspettò, e disse: - Ieri, messere, toccò a me l'andare pensoso, oggi pare che tocchi a voi; e per tanto io non voglio che voi pensiate più sopra questo fatto; e per torre via questi pensieri, io vi vo' contare chi io sono e dove io vo. Egli è vero ch'io sono femina, come voi sapete, e ho nome Petruccia, e fui figliuola di Vannicello da Viterbo. Perch'essendo morto mio padre e mia madre, rimasi alla guardia di due miei fratelli. Ora avvenne che Papa Urbano passò di qua, e stette in Viterbo quello tempo che voi sapete,.e accadde per caso che un cardinale, il quale voi vedrete, con la grazia di Dio, venne nelle case nostre, dov'egli mi vide e innamoròssi di me, e tanto fece che m'ebbe. E quando la corte passò di qua in Provenza, il detto cardinale me ne menò seco, e sempre mi tenne con lui, e fecemi sempre grandissimo onore, e meglio mi voleva che a sé medesimo. Per che andando il Papa a Ponte di Sorga, questo mio signore andò a stare là con lui, e me lasciò in Avignone con due cameriere e uno scudiero. Onde un mio fratello che tornava da San Jacopo, giugnendo in Avignone, m'andava cercando. E sendo un sabato mattina a udir messa in una chiesa che si chiama Santo Asideri, questo mio fratello ivi venne: ed era con lui un suo carissimo compagno; ed essendo in chiesa gli occhi miei s'incontrarono co' suoi, e così m'ebbe riconosciuta; onde subito mi prese e menòmmi al Rodano, e quivi era una barca, ch'egli aveva tolta per andarsene, nella quale entrammo, e non ristemmo che noi fummo ad Arli, poi a Marsiglia, e poi a Nizza, e da Nizza a Genova, e poi a Livorno, e da Livorno a Corneto. E più e più volte m'avrebbe gittata in mare, se. non fusse questo suo compagno, il quale non lo lasciò mai; e dentro a quella barca s'invaghì di me, e chiesemi per moglie a questo mio fratello, ed egli me gli diede, e io fui contenta d'averlo per marito. E poi ce n'andammo a Viterbo, e quivi con molta allegrezza mi sposò, e menommene a casa sua. E, come piacque alla fortuna mia, e' vivette forse un mese, e poi si morì. E veramente io non mi sarei partita se non stata la morte sua. Per che essendo morto, io mi ritornai in casa co' miei fratelli, e quivi sono stata infino a mo' con molta fatica e tribulazione; però ch'io aveva in casa due cognate, e mi conveniva esser lor fante, e per ogni picciola cosa mi rimproveravano ch'io era stata mala femina, e io sempre sofferivo. Avvenne pure un giorno ch'io vidi passare un corriere che andava in Avignone; e io gli diedi una lettera, che andava a monsignore, nella quale si conteneva in che modo io m'ero partita, e che s'egli mi rivoleva, ch'e' mandasse per me persona di cui io mi potessi fidare. Per ch'e' mi mandò questo frate, che morì a Nizza, il quale era un valent'uomo, e promisegli, se mi conducesse in Avignone, che il primo vescovado che vacasse in suo paese gli darebbe. Onde il frate se ne venne a Viterbo, e trovò modo ch'e' mi parlò nella chiesa de' frati di Santo Agostino, e quivi mi mostrò la lettera di mano del cardinale e altri segni; e fermammo la partita nostra. Dato che fu l'ordine, un dì di festa, quelle mie cognate ed io, con altre donne, ce ne venimmo a un bagno, che si chiama il bagno all'Asinella. Ed essendo nel bagno tutte queste mie compagne, io feci vista d'andare un poco fuori per far mio agio, e subito mi partii da loro ed entrai in un bosco, dove questo frate m'aspettava; e quivi mi spogliai i miei panni femminimi, e misimi questi a uso di frate; e subito montammo in su due corsieri, ch'egli aveva apparecchiati, e quasi in tre ore fummo a Corneto. E quivi egli aveva apparecchiata una saettia, nella quale subito entrammo, e rimandò i cavalli. I marinai presero alto mare, e non ristemmo mai che non fummo a Nizza di Provenza; di che il mare gli fe' male, e morissi, come voi vedeste. E veramente e' morì dispera to, poiché non mi poté condurre al signor suo. Ora voi sapete chi io sono, e dove io vo; e però attendiamo a darci buon tempo per questo cammino sanza nessun pensiero che sia al mondo. - E così fu fatto: ché per tutto quel cammino non fecero mai se non godere a tavola e nel letto, sempre cantando e piacevoleggiando, e facendo le giornate picciole, col darsi vita e buon tempo. E moltiplicò tanto amore tra il frate e 'l prete, che sarebbe impossibile a dire i modi che tenevano insieme: e non si vide mai compagnia intrinseca quanto quella.


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