(Novella CXXXII)
LA ZUFFA DEI TRE CIECHI
Tre ciechi fanno compagnia insieme, e veggiendo la loro ragione a Santa Gonda, vengono a tanto, che si mazzicano molto bene insieme, e dividendo l'oste e la moglie, sono da loro anco mazzicati.
N
EL popolo di Santo Lorenzo presso a Santa Orsola nella città di Firenze tornavano certi ciechi, di quelli che andavano per limosina, e la mattina si levavano molto per tempo, e chi andava alla Nunziata, e chi in Orto San Michele, e chi andava a cantare per le borgora, e spesse volte deliberavano, che quando avessono fatta la mattinata, si trovasseno al campanile di Santo Lorenzo a desinare, dove ero uno oste che sempre dava mangiare e bere a' loro pari.
Una mattina, essendovene due a tavola e avendo desinato, dice l'uno, ragionando del loro avere o della loro povertà: - Io accecai forse dodici anni e, ho guadagnato forse mille lire.
Dice l'altro: - Ohi tristo a me sventurato, ch'egli è si poco che io accecai, che io non ho guadagnato dugento lire.
Dice il compagno: - Oh quant'è che tu accecasti?
Dice costui: - È forse tre anni.
Giugne un terzo cieco, che avea nome Lazzero da Corneto, e dice: - Dio vi salvi, fratelli miei.
E quelli dicono: - Qual se' tu?
E quelli risponde - Sono al buio, come voi; - e segue: - E che ragionate?
E quelli contarono il tempo de' loro guadagni.
Disse Lazzero: - Io nacqui cieco, e ho quaranzett'anni; s'io avessi i danari che io ho guadagnati, io sarei il più ricco cieco di Maremma.
- Bene sta, - dice il cieco di tre anni - che io non trovo niuno che non abbia fatto meglio di me.
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