NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Ippolito essendo dietro alla cortina, vedeva e udiva ogni cosa, ma per la fede promessa mai volse fare parola, anzi un grandissimo affanno si tacea.
     Leonora come fu addormentata, si sognava essere con Ippolito e in sogno dicea: - Oh Ippolito mio! chi t'ha menato qui! qual pianeta, quale destino c'è stato tanto benigno? e credendo d'abbracciare Ippolito stringeva le braccia baciando il vento.
     Ippolito vedendo questo non gli parve più tempo d'aspettare, e quivi senza spogliarsi altrimenti, quando ella stendeva le braccia s'entrò a lato a lei sul letto, e quivi stato un poco, cominciando a baciarla, ella dal sonno si destò. E trovandosi gente a lato tutta spaurita fu tentata di gridare, quando Ippolito disse: - Taci Leonora e odi 'l parlare mio.

     - Sappi, diss'egli, che io sono il tuo Ippolito, il quale poco avanti tu con tante lacrime hai desiderato, e sono venuto a quello che sanza te, certo la mia vita sarebbe finita, cioè il vederti, e questo mercè e grazia della tua zia. Piacciati, poi che nelle tue mani è la vita e la morte mia, d'eleggere di me quello che ti piace. Se lo mio vivere ti piace, non gridare, anzi benignamente ascolta 'l misero amante che per te muore, il quale è per tal via condotto in camera,... - e quivi gli narrò tutto il modo. Poi disse: - Leonora, io son qui per contentare ogni tuo piacere, Però piacendoti la morte mia, ecco, con questa coltella mi cava di tanto affanno, e cavatosi un pugnale da lato 'l diede nelle mani di Leonora, la quale veramente conoscendo 'l grande amore d'Ippolito, e vedendo la comodità del tempo disse: - Ippolito assai mi piace la tua vita più che la morte; e non tanto che le mie mani facessero di te sangue, anzi ogni mio desio da quel dì che amor mi mise la tua immagine nel mezzo del cuore è sempre stato di fare, verso di te, quello che ciascuna serva è obbligata fare verso il suo signore. E però dolce Ippolito mio, siccome poco avanti tu mettevi la tua vita nel mio arbitrio, togli la tua arme e fa di me il tuo volere come di fedelissima serva. E insieme con queste parole li valorosi amanti mescolavano sospiri, baci, o lacrime, e deliberarono non maculare la fede data alla badessa. - E però, disse Leonora: - Ippolito, tu sai quanto è l'inimicizia delli nostri padri; e sapendosi l'amor nostro, non ci avverrebbe quello che suole avvenire, cioè che per congiunzione di matrimonio si onestasse l'amore, perché li nostri padri per la loro inimicizia e crudeltà ci occiderebbono; e così 'l nostro amore arebbe sventurata fine. E però io ti conforto che tu ti porti saviamente, almeno per mio amore, se nol vogli fare per lo tuo; perché tieni per certo, che come messer Amerigo mio padre sapesse il nostro amore, con ogni arte s'ingegneria tormi la vita, la qual cosa so che molto ti dorrebbe. Io non ho cuore che pensi altro che a te; e se io mangio, beo, dormo, o quello che mi faccia, tutti li miei pensieri sono scritti nel tuo viso. Tu conosci quanto pericolo noi incorriamo sapendosi il nostro amore! E perché tu non creda che io ami te con manco vigore che tu me, sappi che io sto in una camera, sola, la quale ha una finestra che risponde sopra la strada. E perché altro partito non c'è al nostro amore, tu verrai venerdì notte alle cinque con una scala di corda a piè della finestra, e attaccherai la scala a quel filo che tu troverai pendere della finestra, ed io tirerò su 'l capo della scala e appiccherollo al ferro della finestra, e tu allora sicuramente te ne verrai su per la scala in camera, e quivi potrai stare due o tre giorni celatamente senza saputa d'alcuno; e in questo modo assai spesso daremo compimento ai nostri amorosi desiri. Ma prima che di qui partiamo, voglio che a fede l'uno dell'altro ci promettiamo di non torre altra mogliera o marito. Anzi poi che la fortuna vuole che in palese non possiamo guardarci, che ne' nostri cuori, non puossi entrare altro che nel mio il dolce Ippolito, e nel tuo l'amante Leonora. - E 'l parlar di Leonora piacque tanto ad Ippolito che per la grande allegrezza non potè rispondere altro che con dolcissimi baci ringraziarla. E tornandosi drieto al letto, la badessa venne alla camera per Leonora, e trovatala in sul letto sola, di buona voglia la salutò. Di che usciti di camera ne mandò Leonora a casa; e la sera Ippolito, dopo molte grazie e profferte fatte alla badessa, se n'andò a casa, e quivi con grandissimo desiderio aspettava el venerdì. E ritrovata la scala di corda, il venerdì notte, solo, messosi questa scala in una berretta lunga, la quale lui portava in capo, se n'andò verso le case de' Bardi, dove Leonora l'attendeva dalla finestra. Di che, andando Ippolito ed essendo già appresso al canto che arriva alle case di Leonora, la maledetta fortuna gli apparecchiò uno strano caso, e questo fu che il Cavaliere del Podestà, andando alla cerca di notte, e v edendo Ippolito, cominciò a seguitarlo. E fuggendo lui, la berretta gli cadde, dove 'l Cavaliere veduta la scala, cominciò più volenteroso a seguitarlo dubitando che non fusse qualche ladro; e tanto fece che giunse Ippolito, e domandollo dov'egli andasse con quella scala a tal ora. Ippolito per non vituperar Leonora disse, come con quella scala andava ad imbolare. Di che il Cavaliere maraviglioso del fatto, pur per rispetto della scala e del fuggire suo, e della confessione, deliberò menare Ippolito seco al Podestà. E 'l Giovane essendo adomandato dal Podestà rispose, come lui andava a rubare. E 'l Podestà maravigliossi dall'appetito bestiale del Giovane, il quale era figlio dell'uno de' primi uomini di Firenze, e volentieri non arebbe voluto che gli fusse capitato nelle mani, vedendo la sua umanitate, bellezza, e infinita gentilezza. Ma pure vedendo la sua confessione, deliberò ritenerlo seguitando lo stile della ragione. Leonora aspettando il suo Ippolito si maravigliava di tanta tardanza; e in fine vedendo che già il giorno appariva, tirato il filo dentro si mise a sedere sulla panca del letto, pensando qual fusse la cagione che il suo Ippolito non era venuto; e temendo varie e diverse cose, la. mattina la novella si spande per Firenze, come Ippolito Bondelmonte è stato preso per ladro; onde che a tavola messer Amerigo, ed essendovi Leonora, lui dice alla moglie: - Non sai del figlio di messer Bondelmonte? questa notte qui appresso a casa nostra fu trovato con una scala di corda che andava a furare, di che lui è nelle mani del podestà; e sanza martirio ha confessato che andava ad imbolare, sì ch'io mi credo lui sarà giustiziato come rubatore. - Leonora udendo queste parole tutta si smarrì, e partitasi accortamente da tavola se n'andò in camera, dove per lo gran duolo non poteva parlare. Anzi tutta agghiacciata, serrato l'uscio della camera, e postasi in sul letto, aveva il sangue dal dolore più ghiaccio, che neve. Poi riavutasi un poco: - Ahi, morte (diss'ella) perché non mi cavi di queste pene? Ahi sventurata Leonora! non vedi tu che per tuo amore Ippolito è giudicato a vergognosa morte? Non vedi tu che per salvare il tuo onore, lui vuole perdere e l'onore e la vita? Non volere più vivere al mondo, poi che 'l tuo fato in ogni cosa t'è contrario! Come potrai tu vivere sanza Ippolito, 'l quale non vuole vivere non essendo salvo il tuo onore? E dicendo questo e altre dolorose parole, la povera Fanciulla, asciutti gli occhi, se n'andò in sala a sentire se nulla di nuovo udiva del suo amante. Di nuovo, Ippolito perseverava nella sua confessione. Intanto che il Podestà lo fece raffermare al banco, e assegnolli il termine a produrre ogni sua difesa. Di che giunto il termine 'l Podestà fa mettere in punto per far giustizia. E qui mandato pel padre d'Ippolito: - Vedi (diss'egli) il tuo figliuolo è nelle mie mani, il quale di sua volontà ha confessato, e raffermato il delitto. Dio sa che a me duole d'essere esecutore di questa giustizia; ma bisognandomi seguitare l'ufficio mio, io ti priego che tu mi perdoni, e che tu abbi pazienzia a quello che la disposizione fatale ha deliberato. E acciocché tu sappi se io ti dico il vero, io voglio che tu parli al tuo figliuolo; - e miselo nel luogo dov'era Ippolito. Al quale messer Buondelmonte con un fonte di lacrime gli si gettò al collo abbracciandolo, e baciandolo. - Figliolo (diss'egli) a mal punto ti generai, poi che per te tal duolo dovevo sentire al cuore mio, quale è quello che sente; e certo non ti faceva bisogno la roba d'altri. Ma la fortuna ha permesso questo, acciocché la vita mia più sia contenta, né anche quella della tua dolorosa madre, la quale io lasciai in tanto pianto e dolore, che io non so se io la troverò viva. - A queste parole lo infelice Ippolito nulla rispondea: di che 'l padre dopo molti lamenti si partì. Il Podestà la mattina a buon'ora fa mettere fuori lo stendardo, e fa suonare la prima volta la campana della giustizia. Leonora che aveva il pensiero levato quando la campana suonò, essendo in camera gli parve quel botto della campana gli desse nel mezzo del cuore, e cadde in terra trangosciata. E tornata in sé, insieme con l'animo gli tornò la pena, e avendo tutto il pensiero levato, aspettava ne' grandi tormenti la morte d'Ippolito, con animo di torsi anche lei la vita. Intanto suona la seconda e la terza volta la campana e letta la condannazione Ippolito disse al Podestà: - Voi sapete la grande inimicizia, la quale è continuamente stata ed è fra i Bardi e noi; e poi che la fortuna ha voluto del corpo mio vederne sì oscuro e brutto fine, almeno l'anima mia vorrei secondo il mio potere conducere a migliore fine; e però vi priego che vi piaccia, mandandomi alla giustizia, che io faccia la via da casa Bardi, acciocché io possa domandare perdono dell'odio che io come nimico ho portato loro. Questo faceva Ippolito solo per vedere Leonora una volta prima che morisse. Di che 'l Podestà parendogli la domanda lecita e onesta, commise al Cavaliere che andando alla giustizia, facessi quella via; e così con lo stendardo e con la famiglia dell'Officiale partitosi dal palazzo, s'avviarono verso la casa di messer Amerigo, il quale avendo inteso la domanda d'Ippolito, con tutti i Bardi si partì di casa per non avere a perdonare il suo nimico, e nelle loro case solo rimasono le donne. Leonora spesso si faceva alla finestra; e intanto ella sentì la tromba va sonando quando alcuno va alla giustizia, il quale suono gli parve un coltello nel cuore. E fattasi alla finestra, vide lo stendardo della giustizia; e vedutolo, dalla grande angoscia occupati li sentimenti naturali cadde adrieto in terra come morta: e presto tornata in sé, fecesi alla finestra. Ed eccoti venire Ippolito tutto vestito di nero con molti canapi intorti alla gola fra due manigoldi, il quale alla prima ebbe volti gli occhi verso la finestra, e veduta Leonora si scontraro insieme con gli sguardi. Allora Ippolito con un grandissimo sospiro volti gli occhi alla sua Leonora, con un riverente inchino da lei tolse l'ultima licenzia.


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