NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Leonora dolente più che mai altra fusse, conoscendo quivi non essere tempo da piangere, come furiosa discese la scala, e quivi aspettava che Ippolito arrivasse dinanzi alla sua porta. E quando Ippolito fu a riscontro, ed ella si gittò fuori della porta, e presa la briglia del cavallo dov'era il Cavaliere, dicendo: - Fino che la vita mi starà in corpo tu non menerai Ippolito alla morte, la quale lui non ha meritata. - E quivi scapigliata, lasciato il cavallo, gittò le sue braccia sopra il collo del suo amato Ippolito. Il Cavaliere stupefatto del caso vedendo la condizione del Giovine e della Fanciulla, cominciò a divenire timido e dubbioso che partito lui dovesse pigliare.
     La Signoria di Firenze intesa la novità del caso, comandò che i giovani fussino menati dinanzi alli Signori, e quivi menato Ippolito legato con la corda intorno alla gola, e Leonora scapigliata, tutta piena di lacrime innanzi a tutto 'l popolo disse: - Niun si maravigli eccelsi Signori di quello che io ho fatto, perché conoscendo io la manifesta e aperta ingiustizia, non solo ad Ippolito il quale è mio legittimo sposo e marito, ma a ciascuna strana persona arei fatto questo che io ho fatto a lui, però che siccome a difensione della giustizia ciascuno debb'essere coadiutore, così a propulsione dell'ingiustizia ogni uomo debbe essere difensore. Quello che io ho difeso giusta il mio potere è Ippolito il quale è qui. Io non aiuto già un malfattore, anzi un innocente; non aiuto uno strano anzi il mio sposo, il quale non sono molti giorni in uno onestissimo luogo mi tolse per sua donna: e la notte che lui fu preso veniva alla casa mia per consumare il matrimonio lecitamente. E poi che per le maledette nimicizie paterne non si poteva fare la cosa palese comodamente, bisognava che di notte si facesse, e su quella scala con la quale lui diceva, per salvare il mio onore, che lui andava a furare, esso doveva salire per la finestra della camera mia e venire a me. Ora, Signori, voi avete inteso il caso; Ippolito è mio marito: e se per andare a dormire con la sua donna si merita le forche, certo lui le merita; se no, io vi domando ragione, e che voi mi rendiate il mio sposo; altrimenti io appello a Dio e al mondo chiamando vendetta di tanta ingiustizia, pregando Iddio che con giusti occhi riguardi le vostre inique sentenze e malvagi giudicii.


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