NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Io me n'andai in villa martedì dopo a desinare; e perché io non avevo faccenda, ed è mille anni che non vi si andò, e non v'è nulla, se none uno letto (ché noi facciéno venire el vino di vendemmia, e così ogni altra cosa ne' tempi loro), io m'andai dondolando per la via per consumare tempo, e bevvi due tratti al Galluzzo, per non avere a dare di cena noia al lavoratore, e giunsi a casa di notte, e chiesigli un poco di lume, et anda'mi a letto. Egli è cosa da ridere quello ch'io vi dirò testé; e' mi el pare ognuno impazzato, io il dirò di nuovo; et io sono forse più che gli altri: io m'affacciavo stamani in villa, et avevo aperto una finestra: io vi dirò el vero: io non so s'io mi sogno testé, o s'io m'ho sognato quello ch'i' vi dirò: e' mi pare essere un altro stamane a me: Filippo, ell'è cosa da ridere: or lasciamo andare. Dice el lavoratore mio, che m'aveva dato el lume: Che fu ieri di voi? Dich'io: Non mi vedesti tu iersera? Dice colui: Non io, quando? Dich'io: Smemorato! non m'accendesti tu la lucerna, ché sai che la non ardeva? Dice colui: Si la sera dinanzi; ma iersera non vi vidi io, né ieri in tutto dì; credevomi che voi ne fussi ito a Firenze, e meravigliavomi che voi non m'avessi detto nulla, stimandomi che voi el fussi venuto per qualche cagione. Dunche dorm'io tutto dì d'ieri: e domando al lavoratore: Ch'è egli oggi? ed egli mi dice, ch'egli è giovedì. In effetto, Filippo, io truovo che io ho dormito uno dì intero e due notti intere senza mai risentirmi io ho fatto uno sonno solo.


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