Opere di letteratura italiana e straniera |
Subito col pensier fatto ad Amerigo, suo caro compagno, se n'andò, e con lui tanto disse che Amerigo veduto non potere avere per moglie quella che desiderava, acconsentì a ciò che Caccia voleva. E compostisi d'accordo, andarsi godendo un tempo alle spese altrui, in capo di sei dì in modo di pellegrini di Sciano si partiro, e verso la Lombardia presero il cammino. Arrivaro nella città di Firenze, sconosciuti, facendosi di Cività vecchia; e informatisi in che forma lo spedale della Scala di Firenze si reggeva, e da quale speziale si fornivano, e saputo che Bindo di Dapo speziale in ponte vecchio era il loro buttigajo; a lui arrivaro ed in guisa di medico Caccia con Bindo parlò, dimandando se ribarbaro fino avesse, e simile di più altre cose medicinali; ed intrato in pratica, lo domandò, dicendo: Dimmi, speziale, come ci sete voi sani in Firenze? che famosi medici, ci avete voi? A cui Bindo rispose: Ecci delli ammalati in copia; e non c'è medico che vaglia una schiabaldana, che se ne dà trentasei per un pelo d'asino. Ecci molte terzane, e nissuno guarisce. Allora Caccia con basse e pensate parole disse: O quanta ignoranzia è in questo mondo! ed io ti dico così, che se io pur tre dì ci potessi stare, tutti l'infermi di questa città sanificarei, e voglio mettere a ripentaglia prima il mio onore, che non poco lo stimo, e poi la testa, se tutte l'infirmità che ci sono, di qual condizione sieno, io in tre dì o in meno non le guarisco, e tu mi dici che questi medicacci non sanno guarire queste terzanelle, che sono una frasca! E perché questa, mi pare una magnifica città, io arei caro che' miei compagni volessero qui stare due o tre dì; che la sperienzia te ne farei vedere. E dicoti che io me ne 'ngegnarò e danno non ne verrebbe alla tua buttiga del mio dimorare, che siamo una frotta che andiamo al Sepolcro. E per questa sera, se niente potrò giovare a nissuno, lo farò volentieri. Bindo per guadagnare informatosi con questo medico che da Cività vecchia si faceva, e medico della Reina di Napoli, compose con lui pregandolo e dicendo: Maestro, se voi poteste stare due o tre dì in Firenze, io provederei a cosa che a voi ed anco a me sarebbe grande utile ed onore. E' son qui nello spedale molti infermi, ed io v'ho buona intrata; che ogni cosa tolgono da me. E per non esservi medico da nulla, io parlerò al rettore in forma che, se voi fate quello che mi dite, io vi farò provedere sì, che voi rimarrete contento. Caccia pensando le parole, le quali molto da d'alto faceva cadere, in fine disse ingegnarsene, e che in due ore l'avvisarebbe, mostrando d'avere a quelli povari infermi gran compassione. E così composto essere ine a due ore insieme, il maestro da lui si partì, ed a spasso per Firenze con Amerigo andando, Bindo al rettore se n'andò; a cui disse: Per cessar via spesa a questa santa casa di tanti infermi che avete a governare, io so' venuto a voi. E' m'è capitato a caso un valentissimo maestro a bottega, che è medico della Reina Giovanna, che va al santo Sepolcro, e vantasi che di qualunque infirmità che sia, darla guarita in due dì o meno, e che non vuole danaro insino a tanto che a' perfezione, e' non gli ha sanati. Questo, perché 'l rettore avea dello stretto, molto gli piacque. A cui disse: Va, e menalo a me; ed aremo buono accordo, se fa quel che tu dici. Allora Bindo andò, e trovatosi col maestro, dal rettore n'andarono. Lo rettore accolto il maestro graziosamente, disse: Bindo mi dice come in medicina voi sete valentissimo, e che voi d'ogni infirmità tollete a guarire in due dì o meno. A cui il maestro con misurate parole rispose: Missere, questa grazia, che Dio m'ha conceduta, non è per miei meriti, ma per sua grazia me l'ha conceduta, e lui ne sia ringraziato e però grazia di tanto signore non si diè nascondere. Missere, egli è vero; e se in due di niente adoperare mi volete, io son presto; che grande coscienzia mi farei, se della grazia che Dio m'ha conceduto, io a' bisogni non l'adoperasse. Allora disse il rettore: Io ho sessanta infermi in casa, ed anco più; i quali, come dite se voi li guar
ite, io vi voglio donare cento fiorini d'oro. A cui il maestro rispose: Missere, io son contento e non ne vo' più, perché assai più me ne venisse; e non voglio toccare alcuno denaro insino che loro non sieno usciti de' letti, e sgombrovi la casa. Ma perch'io ho fatto ristare a preghiera e per compassione di questi vostri miseri infermi due de' miei compagni, fate che non ricevino rincrescimento di starci più che questi due dì; cioè che io sia securo d'aver subito il danajo su un banco, sicch'io non gli facci un'ora restare più che bisogni, che se non fusse per loro, non vi dimandarei altro che la vostra fede. Il rettore, per voluntà che tanta spesa di casa si cessasse, subito a uno banco li fece promettere che a sua posta, guariti quelli infermi, cento fiorini d'oro li desse contanti; e fatte tutte le solennità bisognevoli per l'una parte e per l'altra, il maestro non perdé tempo; e fattosi menare all'infermaria ognuno mandò via, salvo che Amerigo, che per suo discepolo rispondeva.
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