NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Poi il quarto visitato, ed inteso il suo difetto, con la medesima voce disse ad Amerigo: Perché costui sente di gotte, ed halle ora nelle galloppe, che tu domattina a digiuno pigli i ferri che tu sai, e le sue galloppe tutte quattro li cavi più nette che puoi; e riguarda i nerbi, che sarebbe pericolo; e poi con quel ferro rovito l'inquoce la tagliatura, e le vene ine respondenti, in forma che gli umore mai più trarre non vi possino.
     E Amerigo rispose di farlo.
     All'altro si volse, e veduto il difetto che aveva, disse ad Amerigo: costui è sì ripieno d'umido, e di mali umore, che a volerlo guarire bisogna che tu domattina quello spiedone grande faccia ben rovire, e quando vedi che nel trarlo del fuoco esso ben sbrilli quelle focose e sprizzanti fiammelle, allora presto, prima che punto si freddi, mettiglielo dal canto di dreto, e mandalo per lo filo della schiena, e su per lo gargarozzo insino al cervello, e tanto vel tiene che ine si freddi; e quando è freddo allora impicchi costui per le mani, che stia da terra un palmo sollevato, e traghi lo spiedone; e allora tutta l'umidità di corpo gittarà disotto, e sarà guarito.

     Amerigo disse: Io lo legarò prima in su una tavola come quello di ieri.
     E così fa, disse il maestro; e voltatosi all'altro che seguiva, toccatogli il polso, disse ad Amerigo: Io non vorrei che costui m'udisse. E perché egli ha guasto il fegato, e' bisogna tagliarlo sotto il ditello tanto ch'io bene vi cacci le mani, e tutto il fegato li cavi e faccilo friggere nello strutto di cinghiale; poi lo rimette nel suo luogo, e rattaccalo con colla di pesce e ricuscelo con filato di fanciulla vergine, e poi incocelo con ferro rovito, che non imputridisse.


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