NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Confortaronsi gli astronomi e dissero:
     - Come questo popolo diventa matto, noi che non sentiremo il puzzo, non ci nocierà e diventeremo signori di questa terra.
     Viene il dì che debbe piovere e gli astronomi senza dir nulla al popolo, si serrarono tutti gli usci e finestre in modo che quando piovve non sentirono il puzzo, ma il popolo pel gran fetore diventò tutto matto; non facevano che ridere e ballare, e quando fu cessato l'acqua e il puzzo, gli astronomi usciron fuori.
     Appena il popolo gli vide, subito corsero verso di loro e fu di necessità, se vi vollero stare sempre, facessero tutte le pazzie del popolo, altrimenti gli avrebbero cacciati via, o morti.
     - Così bisogna che faccia io tra costoro, si che abbiatemi per iscusato se io scioccheggiai.

     (Facezia XCI)



     MASUCCIO SALERNITANO

     LA BELLA MOGLIE DEL GELOSO TORNESE
     Ioan Tornese per gelosia mena la moglie fuori de casa in omo travestita; un cavaliero suo amante con un sottilissimo tratto in presenzia del compagno carnalrnente la cognosce; il marito con furia ne torna la mogliere a casa; il fatto se divulga, e Ioanni morendone di dolore, la moglie se rirnarita e gode.

     A
     LA proposta materia dunque venendo, dico che nel tempo de l'illustrissimo mio signor duca Filippo Maria de' Visconti fu in Milano un legiadro e nobile cavaliero, per nome detto misser Ambrosio de l'Andriani, giovane ricco, bello e costumato. Costui, per generosità del suo peregrino spirito desideroso veder gli ordini e gesti de' principi cristiani, avendo molte parte e dentro e fuori Italia ricercate, e sentendo finalmente le gran magnificenzie e triunfi, che la immortal memoria de Alfonso re tuo avolo de continuo in la cità de Neapoli facea, se diliberò del tutto, de quelli anco vedendo, al suo desiderio satisfare; e postisi mille fiorini in borsa, e de cavalli, de famigli e digni vestimenti guarnitosi, a Neapoli se condusse. Dove viste tante dignissime parte e singulare circustanzie de la cità, iudicò seco medesmo che la sua presenzia non avea la sentita fama in parte alcuna diminuita; per la qual cagione, e per la prima che condutto lo avea, propose, ivi godendo e dandosi bon tempo, fin che la portata moneta gli bastava, dimorare. E domesticatosi con alcuni gentilomini de Capuana, e menato da quelli talvolta per feste, chiese e giostre, dove molte caterve de donne se radunavano, le quali ben considerate, con suoi compagni disse che le donne neapolitane, a suo iudicio, erano più de presenzia, de grazia e de donnesco valore fornite, che de soverchia bellezza copiose. Era tra ditti ragionamenti un nobile giovane, e de' suoi più cari compagni, Tomaso Caracciolo nominato, il quale, affirmando che 'l cavaliero dicea 'l vero, subiungendo disse: - Se la tua sorte il vedere de una giovanetta de Nola moglie de un calzolaro chiamato Ioan Tornese te concedesse, io non dubito, secondo da altri ho già sentito, quella essere la più bella donna che per Italia abbi vista ancora confessaresti. Ma ciò mi pare quasi impossibile, atteso che 'l marito, e per la sua inaudita gelosia, e per esser stato posto in sospetto che 'l signor duca de Calabria sol per la fama de tante bellezze cerca ponerli la prova adosso, la tiene in manera rinchiusa, che persona alcuna, per congiunta che li sia, la può mai vedere. Né puro si ne fida; e s'è vero quel che da una sua vicina mia domestica me è stato per fermo racontato, che non so s'io mel creda, udirete una cosa strania, che, per non lasciarla senza di lui in casa, de continuo la mena seco, in ogni parte ov'egli vada, in omo travestita; e così traendosi da sospetto, godendo si dà il più bel tempo di popolano di questa nostra terra; onde se tu vorrai, voglio che andiamo a far prova di vederla. - E senza altra replica insiemi avviatisi, a la botega del calzolaro se condusseno; e quivi giunti, disse Tomaso: Maestro, aveti voi alcun paro de scarpe pulite per misser Ambrosio? - Al quale: - Maisì - rispuse - al piacer vostro. - E fatto mirare il cavaliero, e in un banchetto assentatolo, a calzarlo incomincioe. Tomaso, che prolungar tempo cercava, voltatosi a loro, gli disse: - Or via, io andarò per una mia faccenda qui appresso, mentre che voi a calzar vi ponerete. - E con tale escusa partitosi, lascioe che 'l maestro a calzare incominciava. E stando col capo inchinato, como a tale esercizio si richiede, e misser Ambrosio col viso elevato, e volgendolo per ogni lato, como quel che tutti i suoi pensieri in veder la bella donna avea drizzati, avvenne per sua gran ventura che, ficcando gli occhi per un picciolo cataratto, vide la donna che giù in botega mirando lo stava. E avendo spacio de ottimamente raffigurarla, miratala molto bene, e finalmente viste e considerate le sue rare e inestimabile bellezze che nel vulto dimostrava, gli parve de gran longa di maggior eccellenzia e formosità adorna, che 'l suo Tomaso riferito non gli avea; e così, per la lunga dimora che 'l maestro in ben calzarlo facea gli fu non solamente di ben mirarla concesso, ma eziando farla con amorevoli e dolci signi accorta, como del suo amore infinitamente ardea. La giovane, che prudentissima era, cognoscendo che per la estrema cautela del marito non l'avrebbe in nessuno atto possuto satisfare, ancor che d'e ssere al legiadro cavaliero piaciuta summamente gli fosse caro, se diliberò non dimostrarli alcun signo de benivolenzia o graiziosa risposta. E in tal forma finito il calzare, e lo cavaliero a doppio il maestro pagato, con lieta fronte gli disse: - In verità mai portai scarpe, che a mio iudicio me dicessero tanto bene; e però fate ne abbia ogni dì un paro, e io ve pagarò sempre a tal pregio. - Il maestro, letissimo de sua bona sorte, tenendosi a grandissima ventura lo esserli un sì galante e magnanimo cavaliero in botega arrivato, estimando da quello dover traere un gran profitto, rispuse: - Sia con nome de Dio, e io v'imprometto servirvi de continuo megliore. - E tornato intanto misser Ambrosio al suo Tomaso, tutto godente, quanto la sua benigna fortuna nel suo cominciamento gli avesse concesso, puntualmente gli racontoe, affirmando aver colei il più famoso vulto che alcun altro ne avesse visto mai, però che del resto non veduto perfetta sentenza donar non ne possea; pregandoli in summa che circa ciò gli fosse de ogni suo prudente consiglio liberale. Tomaso ancora che del tutto gli ne fosse la speranza fuggita, nientedimeno, como singulare amico e volunteroso di servirlo, assottigliato dal suo canto ogni suo ingegno, senza punto né de ragionamento né de luoco partirsi, trascorsero insiemi tutte vie e modi, che per ogni ferventissimo amante pensar si potessero; e in uno finalmente firmatisi, proposero aspettare e luoco e tempo, da posserlo con comodità mandare ad effetto. E seguitando de continuo il cavaliero ogni dì a comperar le scarpe al solito prezzo, avvenne che 'l maestro, per più adescarlo, incominciato a dirli assai del servitore, e alcune volte dietro un retretto de la sua botega convitatolo, la matina con una legeretta collazione, non poco fu cagione che 'l cavaliero de tal carezze se contentasse. Continuando dunque costoro ne la già cominciata amicicia, e venendo el dì de santa Caterina, che le brigate andavano a Formello, postosi il cavaliero dinanzi al Castello a passeggiare, però che quivi da presso alloggiava, diliberò vedere se Ioan Tornese a la ditta festa si fosse con la moglie al sopraditto modo condutto. Dove non molto dimorato, visto assai di lungi Ioan Tornese con un giovanetto scolaro a braccio venir verso di lui, comprese subito esser quello che già avia per coniettura estimato. Ed essendosi con loro per camino un specialissimo suo amico e compare accompagnato, e domandato cui lo giovane fosse, gli rispuse, como a più altri avia detto, che era un suo cognato de Nola studente in medicina, per visitar sua sorella ivi venuto. E con tal ragionamento giunti ove passeggiava il cavaliero, e a quello fatto ognuno di barretta, lui da l'altro canto rendutoli el simigliante saluto, guardato fisso lo scolaro e fermamente raffigurato esser quello che con summo desiderio aspettava, domandatoli con lieto vulto ove andassero, li rispusero che a Santa Caterina erano inviati. Misser Ambrosio, cominciato a passeggiare con loro, per camino disse: - E ancora io stava per andarvi, e alcun de' mei famigli o altro cognoscente, così soletto, aspettava, che venisse in mia compagnia; ma non essendo alcun venuto, io verrò con voi. - E de brigata avviatisi, e giunti ove la festa se celebrava, essendo la folta calca de la gente, fu concesso al cavaliero talvolta strenger la mano al nuovo scolaro, per farla accorta che la cognoscea; ed essendoli per la simile cifra risposto, come quella che ottimamente il cognoscea, parendoli che 'l pensiero riuscir gli dovesse, ne fu oltre modo contento. E avendo da la matina per tempo, de quanto per compimento del fatto fosse da fare e dire, pienamente il suo oste informato, e similmente posti tutt'i sol famigli in faccende, che niuno se ne facesse infine al tardi vedere, aspettato con quelli fin che la festa fu finita, con loro medesmi verso la casa se ne ritornoe. E giunti dinante lo suo albergo, preso Ioanni per mano, in cotal modo a dir gli cominciò: - Maestro mio caro, tante volte me avete convitato e fatto onore in casa vostra, che me pare assai conveniente cosa, ancor ch'io sia qui for astero, che voi stamane con questi vostri compagni restati a far collazione con meco. - Ioanni che, como è ditto, gelosissimo era, e che non manco degli ucelli che degli omini timea, parutoli assai duro menar la moglie disnando per gli alberghi, ancor che avesse cambiato vestimento, avendo più volte repugnato e renunciato l'invito, costretto a l'ultimo a non turbar lo amico, spronato massimamente dagli persuasioni e conforti del caro compare, ad accettar si condusse. E montati de brigata sopra una loggetta, ov'era la tavola posta e bene adornata, chiamato il cavaliero subito l'oste, e domandatolo dove fossero suoi famigli, gli rispuse che, per comparar biada e strame, al mercato erano andati. Del che fingendosi turbato, disse: - Ancora che tutti fossero appiccati per la gola, noi pur faremo i fatti nostri. Fate voi che abbiamo da mangiare del buono. - A cui l'oste, como già ordinato gli era, rispuse: - .Missere, qui non ho cosa nissuna delicata in ordine, secundo voi vorresti. - Como non? - disse il cavaliero - poltrone ribaldo, che mi vien voglia stamane cavarti gli occhi! Ho dispesi qui oltre che a docento fiorini, e adesso che ho minati meco questi mei amici, da li quali ho ricevuti mille onori, non ti vergogni dir che non hai niente? - L'oste, tutto timido mostrandosi: - Non vi turbate, - rispuse - missere, ché, se qui fosse il re, in un tratto sarete serviti. - Il cavaliero, voltatoglisi con furia, gli disse: - Or va via, bestia che tu se', e ponemi tosto ad arrostire de' meglior capponi che tu hai. - Così l'oste partitosi per dare a ciò subito recapito, e rimaso il cavaliero più soffiando, era da coloro a pazienza confortato, atteso che in ogni caso non manco estima possea far di loro che de ottimi servitori. Il cavaliero, ringraziatili, disse: - E' mi vien voglia, oltre lo fallir de l'oste, impiccare un de' mei famigli, como ritornano, avendomi lasciato tuttodì oggi così solo como vedete. - Ioanni, che la trama non vedea, pur per umiliarlo disse, per mostrarseli volunteroso a compiacerli: - Volete voi nulla? che noi anco ne reputamo esser de' vostri famigli. - A lo quale rispuse: - Io vi ho per fratelli; ma io vorrei un poco de salsa del sinapo, che voi la nominate mostarda, senza la quale io non porrei mangiar lo rosto stamane, e un mio famiglio sa ove si vende de l'avantaggiata e buona, e credo sia in Mercato Vecchio, e non avendo cui mandar per essa, non posso fare che contro i mei famigli non me adiri. - Ioanni, che pentito era de la fatta offerta, como colui che di lasciar la moglie per tanto spacio infine al core doluto gli averebbe, senza altramente offerirse, a tacer se dispuse. La qual cosa cognisciuto il cavaliero, verso de lui rivoltatosi, disse: - Deh! maestro mio, non vi essendo molto grieve, ve priego pigliate tanto affanno de voi medesmo andar per questa salsa, che fra questo mezzo sarà in ordine il nostro disnare. - Il poveretto Ioanni pessimo contento, parendoli inonesto el dinegare un sì piccolo servizio, né occorrendoli colorata cagione de menarsene la moglie in compagnia, non pensando in tal caso più salutifero rimedio di quello del suo compare, a quello accostatosi e pianamente el suo scolaro ricomandatoli, preso un scudellino, volando per la salsa se invioe. Il cavaliero, vedutolo partito, voltatosi al guardiano: - Oimè! - disse - io ho scordato il megliore. - E che vi manca? - rispuse. Disse il cavaliero: - Io arei voluto qualche pomo arancio, e per la rabia mi scordò dirlo a Ioanni. - Il quale rispuse con pura fede: - Ancora io andarò spacciatamente a portarne, imperò che ne ho de le (più) belle del mondo in botega, e pur ieri de Salerno me ne vennero. - E di subito partitosi, e misser Ambrosio solo con la donna rimasto, secondo lo antiveduto suo pensiero, considerando non era tempo da perdere, presala per mano, disse: - E tu, missere il medico, tra questo mezzo intenderai se decreto una mia passione. - E in camera tiratala, accostatala al letto con quella debole contradizione che sogliono fare tutte coloro che unicamente il desiderano, con velocissime ale fe' uno avantaggiato volo. Quale a ppena fornito, tornato il compare con li aranci e trovata la camera serrata, summamente de tal atto fra se medesmo se maravegliò; e posto l'occhio per un pertuso, e visto che 'l cavaliero dopo il fatto se avia la giovane in braccio recata, e a quella de molti secreti e dolci basi donava, il che non poco rincresciutoli, e con isdegnoso vulto indietro tiratosi, estimando che 'l cavaliero, dal disonesto vizio assaglito, avesse il bel scolaro e a lui lasciato in guardia lascivamente cognosciuto, discesesene a l'uscio; e Ioanni sopragiunto, né vedendo con lui la moglie, tutto stordito e fuor di sé, dove fosse lo scolaro suo cognato, subito il domandoe. Al quale egli in tal modo rispuse: - Volesse Dio che me avessi morsa la lingua stamane, quando il restarte qui te persuadetti, imperò ch'io ho persa la fede de questo cavaliero tuo tanto amico; e veramente de un omo compito de ogni virtù che mi parea, lo ho scoverto per un gran ribaldo. - Oimè! - disse Ioanni - e che ce puote essere? - El malanno che Dio gli done! - rispuse - imperò che avendone con quella medesma arte, che mandò te, me anco mandato per queste pome arance, al mio ritorno l'ho trovato con tuo cognato in camera serrati, e per le fessure de l'uscio ho visto aver con quello usato, non altramente che si fosse una bella e vaga giovanetta. - Sentita Ioanni la pessima novella, né vivo né morto rimaso, ma tutto perplesso e fuor di sé, di sopra montato, e visto il cavaliero a tavola assettato, e como non fosse fatto suo ragionando con lo scolaro, de ira e di dolore acceso, lacrimando e con dirotta voce così disse: - Per mia fe', missere, la vostra è stata una gran cortesia milanese; ma dopo vi avete mangiata la carne senza aspettar più salsa, voi gustarete la salsa senza assaggiar mai più de tal vivanda. - E buttato il scudellino sopra la tavola, presa la moglie per mano, con grandissima furia, disse: - Orsù, in nome del diabolo, andiamone a casa, che, senza mangiare, noi averno pagato lo scotto, e io per peggio ce ho recato la salsa. - E fieramente minazzatala, a la dirotta con lei se partì. Il compare, che non sapea la intrinseca doglia, seguendolo giù per le scale, lo andava rimordendo de lo aver fatto un tal scorno a un tanto omo per un garzone, dicendo: - E che ne potrebbe egli esser? O cridi tu che se ingravide? Poi che la cosa è fatta, che bisognava commetter tale errore e perdere un tanto amico per sì minimo dispiacere? - Ioanni, che con frettolosi passi a menar la moglie verso la casa solamente attendea, per la gran rabbia dentro rodendose, de rispondere non si curava. El bon compare per tanto non restandosi de non lo andar de continuo increpando, ma sempre confortandolo al raconcio del commesso fallo, e per sì piccolo sdegno causato, lo andava per tal modo molestando, che, non possendo Ioanni più soffrire, de ira tutto fremendo, gli disse: - Oimè! compare, faraimi stamane biastemare Idio e tutta la corte del paradiso: non vidi tu che questa è mia mogliere? - Como esser puote - disse egli - e perché la meni tu in tal modo? - Al quale piangendo racontatali la cagione, il compare prudentissimo: - Tu te sei mal consigliato, e del tuo folle pensiero te ne è seguita la condigna pena: cercasti saltar de la patella, per dare in su la brasa. Deh! poveretto, e perché non avvertisti como oggi è guasto e corrutto il mondo, e che assai più difficultosamente se guardano i fanciulli che le donne? e massimamente costei, che un loiro de falconi incarnati parea, ch'io me son maravigliato stamane, como mille volte non ne fosse di bracci strappato. Ma poi che la cosa è fatta, e tu non d'altri che di te medesmo ramaricar ti puoi, dirò che te l'haggi con la tua mala ventura, e per manzi te sforza ad usare altra cautela, e se Dio te ha donato moglie femina, non la volere in mascolo trasformare. Non dico che de lei non abbi quella guardia che de mogliere bella e giovane aver si deve, ma non con sì fatte e inaudite stranietà, imperò che poco al fine vagliono, quando le mogli al tutto se disponeno ingannar lor mariti, ché niuno umano provedimento fu mai sufficiente a repararce. E pensa che tu non se' il primo, né l'ultimo sarai, a ricevere de queste botte: non te specchi mai in li gran maestri, che, cadendo spesso tra questi lazzi, per non aggiunger col dolore eterna infamia, con la lor prudenzia quanto ponno l'occultano? E con tali e altri conforti e ragioni infine a casa repacificandolo, e quivi lasciatili, né volendo ancor lui esser ascritto al numero de li beffati, rattissimo ne l'albergo se ne ritornoe; dove il cavaliere col suo carissimo Tomaso trovati, e con loro mescolatosi, tutti insieme de la già fatta beffa e de l'ordinato disnare si goderno. Ioanni dopo il lungo pianto per dolore morendo, e la moglie per allegrezza remaritatasi, senza esser de la sua propria e bellissima forma cambiata, la sua florida gioventù godette.


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