NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Dice che troppo termine si piglia;
     E s'al ritorno non la trova morta,
     Esser non può se non gran maraviglia.
     Non lascia il duol, che giorno e notte porta,
     Che gustar cibo e chiuder possa ciglia,
     Talché per la pietà Giocondo spesso
     Si pente ch'al fratello abbia promesso.

     Dal collo un suo monile ella si sciolse,
     Ch'una crocetta avea ricca di gemme,
     E di sante reliquie che raccolse
     In molti luoghi un peregrin boemme;
     Ed il padre di lei, ch'in casa il tolse
     Tornando infermo di Gerusalemme,
     Venendo a morte poi ne lasciò erede:
     Questa levossi, ed al marito diede.

     E che la porti per suo amore al collo
     Lo prega, sì che ognor gli ne sovvenga.
     Piacque il dono al marito, ed accettollo;
     Non perché dar ricordo gli convenga;
     Ché né tempo né absenzia mai dar crollo,
     Né buona o ria fortuna che gli avvenga,

     Potrà a quella memoria salda e forte
     C'ha di lei sempre, e avrà dopo la morte.

     La notte ch'andò innanzi a quell'aurora
     Che fu il termine estremo alla partenza,
     Al suo Giocondo par ch'in braccio muora
     La moglie, che n'ha tosto da star senza.
     Mai non si dorme; e innanzi al giorno un'ora
     Viene il marito all'ultima licenza.
     Montò a cavallo, e si partì in effetto;
     E la moglier si ricorcò nel letto.

     Giocondo ancor duo miglia ito non era,
     Che gli venne la croce raccordata,
     Ch'avea sotto il guancial messo la sera,
     Poi per oblivion l'avea lasciata.
     Lasso! dicea tra sé, di che maniera
     Troverò scusa che mi sia accettata,
     Che mia moglie non creda che gradito
     Poco da me sia l'amor suo infinito?

     Pensa la scusa; e poi gli cade in mente,
     Che non sarà accettabile né buona,


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