NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     E possa penetrar nel suo secreto.
     Credeano che da lor si fosse tolto
     Per gire a Roma, e gito era a Corneto.
     Ch'amor sia del mal causa ognun s'avvisa;
     Ma non è già chi dir sappia in che guisa.

     Estimasi il fratel che dolor abbia
     D'aver la moglie sua sola lasciata:
     E pel contrario duolsi egli ed arrabbia
     Che rimasa era troppo accompagnata.
     Con fronte crespa e con gonfiate labbia
     Sta l'infelice, e sol la terra guata.
     Fausto, ch'a confortano usa ogni prova,
     Perché non sa la causa, poco giova.

     Di contrario liquor la piaga gli unge,
     E dove tor dovria, gli accresce doglie;
     Dove dovria saldar, più l'apre e punge:
     Questo gli fa col ricondar la moglie.
     Né posa di né notte: il sonno lunge
     Fugge col gusto, e mai non si raccoglie;
     E la faccia, che dianzi era si bella,
     Si cangia sì, che più non sembra quella.


     Par che gli occhi si ascondan nella testa;
     Cresciuto il naso par nel viso scarno:
     Della beltà si poca gli ne resta,
     Che ne potrà far paragone indarno.
     Col duol venne una febbre sì molesta,
     Che lo fe' soggiornar all'Arbia e all'Arno:
     E se di bello avea serbata cosa,
     Tosto restò come al Sol còlta rosa.

     Oltre ch'a Fausto incresca del fratello,
     Che veggia a simil termine condutto,
     Via più gl'incresce che bugiardo a quello
     Principe, a chi lodollo, parrà in tutto.
     Mostrar di tutti gli uomini il più bello
     Gli avea promesso, e mostrerò il più brutto.
     Ma pur continuando la sua via,
     Seco lo trasse alfin dentro a Pavia.

     Già non vuol che lo vegga il re improvviso,
     Per non mostrarsi di giudicio privo:
     Ma per lettere innanzi gli dà avviso,


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