NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Che 'l suo fratel ne viene appena vivo;
     E ch'era stato all'aria del bel viso
     Un affanno di cor tanto nocivo,
     Accompagnato da una febbre ria,
     Che più non parea quel ch'esser solia.

     Grata ebbe la venuta di Giocondo,
     Quanto potesse il re d'amico avere;
     Ché non avea desiderato al mondo
     Cosa altrettanto, che di lui vedere.
     Né gli spiace vederselo secondo,
     E di bellezza dietro rimanere;
     Benché conosca, se non fosse il male,
     Che gli sana superiore o uguale.

     Giunto, lo fa alloggiar nel suo palagio;
     Lo visita ogni giorno, ogni ora n'ode;
     Fa gran provvision che stia con agio,
     E d'onorarlo assai si studia e gode.
     Langue Giocondo; ché 'l pensier malvagio
     C'ha della ria moglier, sempre lo rode:
     Né 'l veder giochi né musici udire,
     Dramma del suo dolor può minuire.

     Le stanze sue, che sono appresso al tetto

     L'ultime, innanzi hanno una sala antica.
     Quivi solingo (perché ogni diletto,
     Perch'ogni compagnia prova nimica)
     Si ritraea, sempre aggiungendo al petto
     Di più gravi pensier nuova fatica;
     E trovò quivi (or chi lo crederia?)
     Chi lo sanò della sua piaga ria.

     In capo della sala, ove è più scuro
     (Ché non vi s'usa le finestre aprire),
     Vede che 'l palco mal si giunge al muro,
     E fa d'aria più chiara un raggio uscire.
     Pon l'occhio quindi, e vede quel che duro
     A creder fòra a chi l'udisse dire:
     Non l'ode egli d'altrui, ma se lo vede;
     Ed anco agli occhi suoi propri non crede.

     Quindi scopria della regina tutta
     La più secreta stanza e la più bella,
     Ove persona non verria introdutta,
     Se per molto fedel non l'avess'ella.
     Quindi mirando vide in strana lutta


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