Pip. - Io la veggo, non la veggo.
Nan. - Lo scozzonato, tenendo la collana in mano, la lodava non altrimenti che se l'avesse a vendere ad altri, e mentre la mirava e maneggiava disse: Signora, quando me ne facciate sicurtà, io darò quella cosa, che vi ho dato in serbo, qui al maestro, perché vo' andare a mostrarla ad un mio amico, e poi leverò la somma che io debbo per il lavoro, di donde mi manda questa lettera di cambio; e fattale vedere una scrittuccia, fece correre la non insatalata affatto.
Pip. - Come correre?
Nan. - Ella, per non si lasciare uscir de la cassa il giacco tempestato di ducati d'ottone, disse: Portatela pure, che, la Dio grazia, io ho credito per maggior quantità, e voltatasi ai suo segretario, lo mandò via con un cenno, e lo scolare tolse su i mazzi, e sbucò di casa. Vien la sera, ed el non appare; vien la mattina, e non vi capita; passa tutto il dì, e non se ne ode novella; manda per colui che lo alloggiava, ed egli si stringe ne le spalle, e accusa un paio di bisaccie con una camiscia sudicia e un cappello rimastigli in camera di suo; ed ella ne lo udir ciò si fece di quel colore del quale si imbiancano le faccie di chi si accorge che il suo famiglio l'ha fatto rimanere in zero, e fatta sfracassare la cassa, fin co' denti squarciò il giacco, e trovatolo zeppo di fiorini da fare i conti, non si impiccò, perché fu tenuta.
(Dai Ragionamenti, Parte seconda, giornata II)
LA VIDDE UN GRACCHIA IN RIME
NANNA - PIPPA
N
an. - Una certa monna Quinimina sgraziatella, a la quale la natura aveva dato un pochetto di viso, e un poco di bella persona, per farla fiaccare il collo e per più suo disfacimento, a l'usanza di colui che sa tanto giocacchiare che gli basta a perdere, sapeva tanto di lettera che intese una lettera mandatale da un ciarlone. O Domenedio dove diavolo si trova egli, che Cupido colga la gente al buio? e come è possibile che un cacasi sotto tiri l'arco e ferisca i cuori? Egli ferisce il gavocciolo che venga a noi femine, da che diam fede a le ceretanaria, credendoci avere gli occhi di Sole, la testa d'oro, le gote di grana, i labbri di rubini, i denti di perle, l'aria serena, la bocca divina, e la lingua angelica, lasciandoci accecare da le lettere che ci mandano i gabba donne, nel modo che si lasciò gabbare la sfatata, che ti dico. Ella per dar da favellare a la brigata del suo saper leggere, ogni volta che poteva furare il tempo si piantava in su la finestra col libro in mano; onde la vidde un gracchia in rima, e avisandosi che potria esser molto bene che per via di qualche cantafavola scritta d'oro, gnele accoccheria, tinse un foglio col sugo di viole a ciocche, di quelle vermiglie, e intignendo la penna nel latte di fico, scrisse come ella faceva disperare con le sue bellezze quelle de gli angeli, e che l'oro toglieva il lustro da' suoi capelli, e la primavera i fori de le sue gote, facendole anco stracredere che il latte si fosse imbucato nel candido del suo seno e de le sue mani. Ora stimalo tu se ella peccò in vanagloria udendosi milantare.
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