NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Ma ecco a me una cocina odorifera e trionfante, e presso a lei non so che turbe magre, come le facce de le visioni: e nel vedermi esse, mi accorgo che la lor prosopopea scoppiava de lo star io così bene in carne. Ma, importandomi più il dare uno sguardo a le vivande che contemplarle, con presunzion fratina saluto il cuoco, che s'ebbe a disperare, perch'io gli ruppi un capitolo, de lo Sbernia o di ser Mauro che si fosse, biscantato da lui al suono del voltante spedone. Il compare arostiva una fenice al fuoco de l'incenso e del'aloe, che l'abrusciano. Certo ch'io non mi feci invitare a torne un boccone. E, nel considerar col giudizio del palato la soavità, la sustanzia e il sapor suo, simigliava il mio bagattino, bevendo il giulebbe; onde la sua dolcezza gli allargava le braccia e lo distendeva là, come si distende un prete quando il pivo lo gratta. In questo, sento Apollo, che mi dice: - Mangia, acioché quelle carogne quivi, le quali han pasciute tuttavia le mie sorelle di cavoli d'erbe e d'insalata, abbin più fame. - Io, che non gli poteva dir altro, bontà d'una tazza del vin di Dio, ch'io asciugava, lo ringraziai col capo. Ma, nel mutar luogo, urto in una prigione calcata di gente peggio in arnese che i cortigiani d'oggidì; e, intendendo che avevano rubato ad ogni ora perle, oro, rubini, ostro, zaffiri, ambre e coralli, dissi: - Costoro son molto mal vestiti, avendo fatto sì gran furti. - Viddi anco certi altri, che, nel ristituir l'altrui, se n'andarono con le carte bianche, come venner da Fabriano.


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