NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     (Dalle Lettere, Libro primo: al signor Gianiacopo Lionardi, il 6 dicembre 1537)



     AGNOLO FIRENZUOLA

     UNA COMPLICATA VICENDA
     Carlo ama Laldomine, ed ella per compiacere alla padrona finge di amar lo Abate; e credendoselo mettere in casa, vi mette Carlo; ed egli, credendosi giacere con Laldomine, giace colla padrona: la quale, credendo dormire con lo Abate dorme con Carlo.

     F
     U in Firenze al tempo de' nostri padri un mercatante ricchissimo chiamato Girolamo Cambini, il quale ebbe una moglie, che senza contesa alcuna fu tenuta al tempo suo la più bella donna della nostra città. Ma sopra tutte l'altre cose di che si parlava di lei, era la sua onestà; concioffussecosa che mostrando stimare appo quella niente ogni altra cosa, né in chiesa, né in piazza, né ad uscio, né a finestra faceva segno di vedere uomo, non ch'ella lo pur guardasse: per la qual cosa avvenne che molti, i quali per la sua maravigliosa bellezza di lei s'innamoravano, veduta alla fine tanta salvatichezza, senza frutto pur d'un solo sguardo, in breve tempo si tolsero dalla impresa: le strida de' quali arrivando spesse fate fino al cielo, mi penso io che sforzassero Amore a fare la loro vendetta. Imperciocché essendo in quel medesimo tempo in Firenze un giovane di gran parentado, addomandato messer Pietro de' Bardi (ma perciocché essendo prete, fra gli altri benefici egli aveva una bella badia, e' gli dicevan l'Abate, il quale a giudicio d'ognuno era tenuto il più bel giovane di Firenze: ed io mi voglio ricordare averlo veduto, quando io era picciola fanciulla, che e' pareva bellissimo così vecchio), non poté la bella giovane, la mercè della costui bellezza, non rimovere dal gentil cuore tanta durezza, sicché ella si innamorò di lui fieramente. Nientedimeno, per non si partir dalla usanza sua, senza dimostrarsi in cosa nessuna si godeva le sue bellezze nel cuor suo; o con una fanticella, che seco nata e allevata in casa del padre ella teneva a' servigi della persona sua, ragionandone segretamente il meglio che poteva si sopportava le amorose fiamme. Essendo stata molti e molti giorni in così fatto tormento, alla fine le cadde in pensiero di goder di questo suo amore in modo, che lo Abate stesso, non che altri, non potesse accorgersi di cosa veruna. Per la qual cosa ella diede ordine che Laldomine, che così era il nome della sua fanticella, e con isguardi e con cenni amorosi, ogni volta che le venisse veduto questo Abate, lo intrattenesse; pensando che e' potesse accader facilmente che egli se ne innamorasse: imperocché oltre allo esser vaghetta molto, e aver assai dello attrattivo; uno abito stranetto, né da padrona in tutto né da serva, che ella portava, le dava una grazia maravigliosa. E ritrovandosi queste due donne una mattina tra l'altre in Santa Croce a non so che festa, ed essendovi lo Abate, la buona femmina metteva assai acconciamente in opera i comandamenti della padrona, avvegnaché indarno; perciocché lo Abate, forse per esser molto giovane, e in conseguenza poco uso a così fatte giostre, o non se ne accorgeva, o faceva vista di non se ne accorgere. Erasi per avventura accompagnato con l'Abate un altro giovane pur Fiorentino, chiamato Carlo Sassetti, il quale avendo, più giorni erano, posti gli occhi addosso a questa Laldomine, tosto si accorse di quelle sue guardature: perché egli pensò subito a una sua malizietta, e aspettando la occasione, subito le diede effetto. Imperocché occorrendo di quel dì al marito della Agnoletta, che così era il nome della giovane, cavalcar fuori di Firenze per molti giorni, Carlo, che altro non aspettava che questo, quasi ogni sera, là tra le tre e le quattro ore, passava per la contrada dove stavano queste donne: e una volta tra l'altre gli venne veduta Laldomine per una finestra assai bassa che era sopra il pianerottolo della scala, e riusciva in una stradetta accanto alla casa; la quale per lo caldo, che già era grande, andava con un lume in mano a trarre un poco d'acqua per la padrona: la quale come piuttosto Carlo ebbe veduta, affacciatosi alla finestra, con voce assai bassa la incominciò a chiamare per nome. Della qual cosa ella fortemente si maravigliò, e in cambio di serrar la finestra, e andar pe' fatti suoi, come si apparteneva a chi non avesse voluto né dare né ricevere la baia; ascondendo il lume, e fattasi più vicina alla finestra, disse: chi è là? A cui Carlo prestamente rispondendo disse, ch'era quello amico che ella si sapeva, che le voleva dir quattro parole. Che amico o non amico? soggiuns'ella allotta: voi fareste il meglio a ire pe' fatti vostri: vi dovereste vergognare: alla croce d'Iddio, che se egli ci fussero i nostri uomini, voi non fareste a cotesto modo: e' si par bene che egli non ci sono se non donne: levatevi di costi nella vostra mal'otta, sgraziato che. voi sete; e che sì, che io vi do di questa mezzina nel capo. Carlo, che era stato più volte a simil contrasti, e sapeva che il vero dir di no di noi altre suole essere il non porgere orecchie ad una minima parola di questi cotali, non si spaurì mica per così brusca risposta, anzi con le più dolci paroline del mondo la pregò di nuovo che gli aprisse, e finalmente le disse, che era lo Abate. Come la buona femmina senti nominar l'Abate, tutta si rammorbidì, e con assai manco brusche parole che prima rispondendo, disse: Che Abate o non Abate? che ho io a fare coll'Abate o co' monaci io? Alla buona, alla buona, che se voi fuste lo Abate, che voi non sareste qui a questa otta; ché io so ben che i buoni preti come egli, non vanno fuor la notte, dando noia alle donne altrui, e massimamente in casa le persone dabbene. - Laldomine mia, rispose allora Carlo, lo amor grande che io ti porto, mi costringe a far di quelle cose che forse non doverei; però se io ti vengo a dar noia a questa ora, non te ne maravigliare, ché io ho tanto disiderio d'aprirti lo animo mio, che egli non è cosa che io non facessi per dirti due parole. Sicché, speranza mia, sia contenta d'aprirmi un poco l'uscio, né volere essermi discortese per così picciola cosa. Udendo Laldomine così piatose parole, forse gnene'ncrebbe; e tenendo per certo che e' fusse lo Abate, fu per aprirgli detto fatto; ma pensando ch'egli era pur ben chiarirsi se egli era desso con qualche contrassegno, si diliberò d'indugiare ad un'altra sera: e così mezzo ridendo gli rispose: Eh andate, andate, baionaccio! credete voi che io non conosca che voi non sete desso: che quando io conoscessi che fuste desso, io vi aprirei; non per mal veruno, ché voi non credeste, ma per saper quello che voi volete da me, e dir poi a Girolamo le belle prove che voi fate quando egli non ci è. E se voi non fuste poi desso? o dolente a me, io mi terrei la più disfatta femmina di Borgo Allegri! Ma passate doman di qua alle ventidu'ore, che io vi attenderò in sull'uscio; e per segno che voi sete voi, quando sarete al dirimpetto dell'uscio nostro, soffiatevi il naso con questo fazzoletto (e così gli diede un fazzoletto lavorato tutto di seta nera); e facendo questo, io vi prometto che se voi verrete qui domandassera a quest'otta, che io vi aprirò, e potrete dirmi quello che voi vorrete; onestamente però, ché voi non pensate. E così detto, senza volerli pur toccar la mano, gli serrò la finestra addosso; e andatasene subito dalla padrona, le narrò tutto il fatto come stava. La quale, alzando le mani al cielo, tenendo per fermo che e' fusse venuto il tempo che 'l suo pensiero vesse aver effetto, bhaciandola e abbracciundola strettamente ben mille volte, la ringraziò. Carlo andatosene in quel mezzo a casa, e messosi a letto, mai non poté per quella notte chiudere occhio, pensando come egli avesse a fare che lo Abate adempiesse il contrassegno avuto dalla donna. E con questo pensiero levatosi sull'ora della Messa se n'andò nella Nunziata, dove ritrovato uno amico suo, che tutto il dì usava con lo Abate, chiamato Girolamo Firenzuola, gli narrò ciò che gli era accaduto la passata notte, e chiesegli aiuto e consiglio sopra il fatto del contrassegno: a cui rispose subito il Firenzuola, che stesse di buona voglia, che se non c'era altro da fare, che di questo non dubitasse, imperciocché al debito tempo e' darebbe ricapito a tutto quello che bisognava; e così dicendo, fattosi dare il fazzoletto, da lui si accommiatò. E quando gli parse l'ora a proposito, andatosene a trovare lo Abate, per via di diporto lo trasse di casa, e così. passo passo, d'uno in altro ragionamento trascorrendo, lo condusse a casa d'Agnoletta, ch'egli non se ne accorse: e quandoche furono quasi al dirimpetto dell'uscio, disse il Firenzuola allo Abate, avendoli dato prima quel fazzoletto: Messer l'Abate, nettatevi il naso, che voi lo avete imbrattato. Perché egli, senza pensare a cosa alcuna, preso il fazzoletto, si nettò il naso; in modo che Laldomine e l'Agnoletta ebbero ferma credenza ch'egli non si fusse nettato il naso per altro, se non per adempire il contrassegno; e ne furono soprammodo contente. I due giovani poscia, senza più dire, se ne vennero verso la piazza di San Giovanni, dove arrivati, il Firenzuola, presa licenza dall'Abate, se n'andò a trovar Carlo, che lo attendeva in sul municciuolo de' Pupilli; e narratoli come eran passate le cose, senza più dire, tutto allegro lasciandolo, da lui si accomiatò,. E venuta la sera, là dalle tre ore Carlo se ne prese la via verso la casa delle due donne, e messosi appié della finestra dell'altra sera, attendeva il venir di Laldomine: né vi fu stato guari, ch'ella, che era sollecitata da chi ne aveva più voglia di lui, alla finestra se ne venne; e vedutolo, e riconosciutolo per quel dell'altra sera, gli fece cenno che se n'andasse all'uscio. Ed egli andatovi, e trovatolo aperto, pianamente se ne entrò in casa; e volendo subito entrato, cominciare ad abbracciare e baciare Laldomine, ella, come fedele della sua padrona, per niente non volse; e dissegli che stesse fermo, senza far romore alcuno, sinché la padrona fusse andata a dormire: e quivi mostrando d'esser chiamata, in terreno lasciatolo, se n'andò dalla Agnoletta, la quale con grandissimo desiderio attendeva il fine di questa cosa:, e avendo inteso che lo Abate era in casa, s'ella ne fu contenta, il processo della mia novella ve lo farà manifesto, senza che io vel dica. La quale, avendo già fatto apprestare in una camera vicina alla sala un bellissimo letto con sottilissime lenzuola, le impose che andasse per lui, e quivi lo facesse coricare: perché Laldomine al buio al buio tornatasene da Carlo, segretamente, senza ch'egli di niente si accorgesse, menatolo in camera, e fattolo spogliare, lo mise nel letto; dipoi, fingendo d'andare a vedere se la sua padrona era ancora addormentata, se ne uscì fuori. Né vi andò molto, che madonna Agnoletta, tutta lavata, tutta profumata, in vece di Laldomine da lui chetamente se ne venne, e accanto se li coricò: e benché il buio s'ingegnasse nasconder la sua bellezza, nientedimeno ell'era tale e tanta, che aiutata dalla sua bianchezza, a mala pena vi si poteva nascondere. Credendosi adunque questi duo' amanti l'un con Laldomine e l'altra coll'Abate giacere, senza molte parole, per non si discoprir l'uno all'altro, con saporiti baci, e con stretti abbracciamenti, e con tutti quegli atti che ad una coppia così fatta si conveniva, si facevano tante carezze, quante voi potete pensare le maggiori: e se pur talvolta qualche amorosa parola usciva lor di bocca, e' la dicevan sì piano, che il più delle volte e' non si intendevano l'un l'altro, e ciascun di loro se ne maravigliava, e tutt'a due lo avevano caro. Ma quel che mi fa venir più voglia di rider quando io ci penso, è un contento di animo, che ambodue avevano d'esser venuti con sì bello inganno al frutto de' lor desideri: e mentre che ella godeva di ingannar lui, ed egli godeva di ingannar lei, s'ingannavano tramendui così dolcemente, che ognun di loro prendeva diletto dello inganno; nel quale senza mai accorgersi l'un dell'altro, egli stettero in tanto sollazio, in tanta festa, in tanta gioia tutta quella notte, che si sarebbono contentati che la fusse durata tutto un anno. E venuta poscia l'ora vicina al giorno, madonna Agnoletta levatasi, e infingendosi di andare a far non so che sua faccenda, rimandò Laldomine in luogo suo: la quale come più tosto potè, fatto rivestir Carlo, per una porticella che riusciva dietro alla casa segretamente lo trasse fuori. Ma perciocché la non avesse ad esser l'ultima volta, com'era stata la prima, e' diedero ordine, sempre che Girolamo ne desse loro agio, di pigliarsi di cosi fatte venture: per la qual cosa, senza mai saper l'uno dell'altro, di molte altre volte ad aver così chiare notti si ritrovarono.


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