(Novella IV)
IL TESTAMENTO DA BEFFE
Fra Cherubino persuade ad una vedova che doti una cappella. I figliuoli se ne accorgono, e persuadonla al contrario, e danno ad intendere al Frate che l'abbia fatto testamento, e niegano di mostrargnelo. Il Frate li fa citare innanzi al vicario, e compariscono, e producendo un testamento da beffe, fanno vergognare il Frate.
V
OI dovete sapere che in tutti gli stati degli uomini assai manco si trovano dei buoni che de' cattivi; e perciò non vi doverete gran fatto maravigliare, se tra i Frati abitano spesso di quelli che non sieno così perfetti come comandano le regole loro; ed oltre di questo, che l'avarizia, così come si è fatta donna di tutte le corti di principi e temporali e spirituali, non voglia avere un po' di luogo nei chiostri dei poveri Fraticelli. Fu adunque in Novara, assai nobile città di Lombardia, una donna molto ricca, chiamata madonna Agnesa, la quale era rimasa vedova per la morte di un Gaudenzio de' Piotti, il quale oltre alla dote, che secondo quei paesi era grande, le avea lasciati alcuni beni, che la ne potesse fare alto e basso come le piaceva, ogni volta che sansa rimanitarsi si voleva stare al governo di quattro figliuoli, ch'egli lasciava di lei. Né era appena morto questo Gaudenzio, che di cotale testamento ne volò la novella al Guardiano del luogo de' Frati di San Nazaro, che è poco fuor della porta di Sant'Agabio, il quale teneva le spie a queste così fatte faccende, acciocché niuna vedovella scappasse, che non si cignesse il cordiglio del Beato Serafico San Francesco, ed essendo delle lor pinzochere, e andando ogni giorno alle lor prediche, ed a far fare dell'orazione per l'anima de' suoi passati, li mandasse di buone torte alla lombarda; ed accesa poi col tempo del fervore delle buone opere del Beato Fra Ginepro e degli altri lor Santi, si disponesse a fare una cappella nella lor Chiesa (dove fusse dipinta quella bella storia quando San Francesco predicava agli uccelli nel deserto, e quando e' fece la santa zuppa, e che l'Agnolo Gabriello gli portò gli zoccoli), e poi, la dotasse di tante possessioni, che rendessen in modo, che e' potessen fare ogni anno la festa di quelle sante Stimate, che hanno tanta virtù che domine pure assai, ed ogni lunedì celebrare uno officio per l'anima di tutti i suoi attinenti,.che fussino ritenuti alle pene del purgatorio. Ma perciocché e' non possono tener questi beni secondo la professione della povertà come appartenenti al luogo, eglino hanno trovato novamente questo sottil modo di possedergli come dote delle cappelle, o come cosa appartenente alla sagrestia, credendosi forse ingannar così Messen Domenedio, come alcun di loro fa agli uomini tutto 'l dì, e ch'egli non conosca qual sia dentro la loro intenzione, e che e' l'han fatto, come quegli che crepavano d'astio e d'invidia delle larghe cocolle dei paffuti Monaci, i quali sanza andarsi consumando la vita a piedi scalzi e in zoccoli predicando qua e là, con cinque paia di calcetti, in belle pantufole di cordovano si stanno a grattar la pancia entro alle celle, tutte fornite d'arcipresso; a' quali se pure è di mestiero alcuna volta uscire di casa, in su le mule quartate, e in su i grassi ronzini si vanno molto agiatamente diportando, né si curano affaticar troppo la mente a studiar molti libri, acciocché la scienza, che da quelli apprendessero, non gli facesse elevare in superbia come Lucifero, e gli cavasse della loro monastica simplicìtà. Or per tornare a casa, quel devoto Guardiano fu tanto dietro a quella vedova, e tanto rumor le fe' intorno con quei zoccoli, che la fu contenta di farsi del Terzo Ordine, dal quale i Frati cavaron poscia di buone piatanze, e di sfoggiate tonache. Ma parendo lor tutto questo poco o niente, e' le erano intorno tutto 'l dì per ricordarle il fatto della cappella. Ma la buona donna, tra che e' le sapeva male torre a' figliuoli per dare a' Frati, e che l'era, come è costume universale di voi altre donne, un po' scarsa, tenendogli nondimeno contenti di parole, stava pur soda al macchione. E in mentre che eglino la sollecitavano, ed ella gli empiva di vento, avvenne che la si infermò a morte. Per la qual cosa la mandò per Fra Serafino (che così aveva nome il Guardiano di San Nazaro) che la venisse a confessare; il quale subito venne; e come più presto l'ebbe confessata, come quello che gli pareva che e' fusse venuto il tempo della vendemmia, le disse in atto di carità, ch
e si ricordasse di far bene per l'anima sua in mentre che l'era viva, e non aspettasse che i figliuoli, che non attendevano altro che la sua morte, gne le facessero, e che la si ricordasse molto bene di madonna Lionora Caccia, che fu moglie di messer Cervagio, che era pur dottore, alla quale, pòiché la si morì, non è stato mai alcuno de' suoi figliuoli che e' si sia ricordato d'accenderle una candela pure il dì dei morti; e che questa era poca cosa a lei ch'era ricca; e che la sarebbe non solo in utilità, dell'anima sua, e di tutti i suoi discendenti, ma in onor di tutta la casa; e finalmente seppe tanto ben dir le sue ragioni, che la donna si volse quasi a dir di sì, e risposegli che e' tornasse da lei il dì dipoi, che di tutto la lo risolverebbe. In questo mezzo uno de' suoi figliuoli, il mezzano chiamato Agabio, avendo avuto non so in che modo fumo di questa cosa, la disse agli altri fratelli, i quali per chiarirsene meglio pensorono che e' fusse bene il dì vegnente, se il Frate vi ritornava, mettere un di loro sotto al letto a cagion ch'egli intendesse tutto il convenente: e così l'altro giorno essendo venuto Fra Serafino per conchiudere il mercato, Agabio aiutato da loro se n'entrò sotto al letto della madre, d'onde sentì che 'l Padre guardiano, non pensando d'essere udito, tanto le fu di nuovo intorno, tante ragioni addusse, tanti dottori allegò, e tanta paura le fe' delle pene del purgatorio, ch'ella si dispose a voler lasciare dugento lire di contanti per l'edificio, e per gli ornamenti della cappella, e cento per fare i paramenti, i vasi, e le altre cose necessarie da dir la Messa, e per dota di quella, a cagione che e' vi si facesse ogni anno una festa, e un officio per i morti, ed ogni dì vi si dicesse una Messa, la metà d'un podere pur non diviso, ch'ella aveva a Camigliano a canto alla gogna, che valeva in tutto più di tre mila lire: e rimasti d'accordo del titolo, e degli offici, e di tutto quello che faceva mestiero, il Frate si dipartì. E partito ch'e' fu, Agabio, senza che la madre di niente si accorgesse, si uscì di sotto alletto, e riferì tutto quello che aveva udito agli altri fratelli, i quali sanza alcuno indugio con certi altri lor parenti se n'andarono alla madre, e con destro modo la distolsero da così fatto pensiero. Comunche Agabio ebbe veduto che la madre era contenta di lasciare andar l'acqua allo 'ngiù, e' pensò di voler un po' di baia del Guardiano, e prestamente ebbe a sé un fante di casa, e lo mandò da parte della madre a dirgli, ch'e' non venisse più per niente a casa sua a sollicitarla, né a ricordarle quella cosa ch'e' si sapeva; imperocché i suoi figliuoli, che si erano acconti del tutto, avevano deliberato, s'egli vi capitava, fargli dispiacere: contuttociò ch'egli stesse di buona voglia, perciocché la non restarebbe per questo di fare quanto egli eran rimasti d'accordo; e però subito che e' sapesse che Messer Domenedio avesse fatto altro di lei, che se n'andasse da Ser Tommaso Alzalendina, al quale la farebbe rogare il testamento, e faccendo d'averlo, mandasse la cosa ad esecuzione. Andò il fante, e con diligenza fece la imbasciata in modo che Fra Serafino non vi tornò altrimenti; ma avendo in capo di pochi dì inteso che madonna Agnesa, sopravvenuta da non so che accidente, aveva renduto lo spirito a Messer Domenedio, subito se n'andò a trovar Ser Tomeno, e gli chiese questo testamento. Ser Tomeno, che di già era stato avvisato da Agabio di quanto avesse da fare, prestamente gli rispose, ch'egli andasse a trovare Agabio, il quale il dì davanti lo aveva avuto in pubrico; onde il Frate sanza repricar parola se n'andò da lui, e poich'egli ebbe fatto il dovuto cordoglio, gli chiese di veder questo testamento. Alla qual dimanda Agabio non diede altra risposta, se non che disse, che si maravigliava molto del fatto suo, ch'egli andasse cercando quello che non gli si apparteneva; e volendo il Frate repricar non so che, egli disse ch'e' se gli levasse d'innanzi, e andasse a fare i fatti suoi. Per la qual cosa il buon Fraticello non sbigottito mica per questo, anzi credendosi che 'l testament
o dovesse esser molto al proposito suo, sanza repricare altro se n'andò a trovare un certo messer Niccola, che era precurator del convento, e fattogli por cinque soldi in mano da un suo fattore, gli raccomandò molto strettamente questa faccenda, Messer Niccola sanza pensar più oltre fece subito citare Ser Tomeno innanzi al vicario del vescovo a dover dare la copia di questo testamento; il quale, come più presto ebbe avuta la citazione, se n'andò da Agabio, e gli narrò come passavano le cose. Perché Agabio, che non cercava altro che questo, insieme con Ser Tomeno andò a trovare il vicario del Vescovo, il quale era molto amico suo, e gli narrò tutto quello che era stato insino a qui, e quanto aveva disegnato di fare ogni volta che e' se ne contentasse. Il vicario, che naturalmente come prete non era troppo amico dei Frati, gli disse che era molto contento; sicché il dì dopo, venuta l'ora delle comparigioni, eccoti venir Fra Serafino e. il suo procuratore; i quali con grand'instanzia chiedevano questo testamento. Alla cui domanda facendosi innanzi Agabio disse: Messer lo vicario, io son molto ben contento di produrlo innanzi alla V. S., con patto che tutto quello che vi si contiene dentro sia osservato in piena forma da tutti coloro che vi si trovano nominati, tocchi a chi vuole, ed abbi nome come e' vuole. - Questa cosa va per i piedi suoi, rispose il vicario; imperciocché le nostre leggi dispongono, che quello che sente i comodi debba eziandio sentire gl'incomodi. Produllo adunque, che così è il debito della ragione. Per le quali parole Agabio, trattosi di seno un certo scartafaccio, lo dette al notaio del banco, dicendogli che le leggesse, ed egli così fece: il quale poi che ebbe letto la istituzion degli eredi, e certi altri legati messivi per dar più fede all'oste, ei lesse quella parte ch'era appartenente al Frate, la quale cominciava in questo modo: Item per rimedio della roba de' miei figliuoli, e per salute di tutte le vedove di Novara, voglio che con quel de' medesimi miei figliuoli, e con le loro proprie mani, sia dato a Fra Serafino, al presente Guardiano del convento di San Nazaro, cinquanta scoreggiate, le migliori e nel miglior modo che e' sapranno e potranno, acciocché egli con tutti gli altri suo' pari si ricordino, che e' non è sempre bene persuadere le semplici donnicciuole, e i poveri uomicciatti, a diseredare e impoverire i figliuoli per far ricche le cappelle. - Non poté il notaio per le gran risa che si levarono ad un tratto per tutta la Corte, finir di leggere quanto era ordinato: e non domandate la baia che tutti quei ch'eran dattorno cominciarono a dare al povero Guardiano, il quale veggendosi rimaner col danno e con le beffe, voleva pigliar la via verso il Convento, con pensiero di farne un grande stiamazzo appresso la Sede Apostolica. Se non che Agabio, avendol preso per la cappa, e tenendol fonte, gridava: Aspettate, Padre; or dove andate voi così presto? ecco ch'io son contento per la parte mia adempiere tutto quello che si contiene nel testamento; e voltosi verso il vicario, tenendo pure il Frate stretto per la tonaca, seguitava: Messer lo giudice, fatelo levare a cavallo, ch'io intendo soddisfare all'obbligo mio, altrimente io mi dorrò della S. V., e dirò che voi non mi avete fatto ragione. Ma parendo oggimai al vicario pur troppo di quello che s'era fatto insino allora, avendo anche perciò, e meritatamente, un po' di riguardo al grado che teneva, ed all'Ordine dei Fra Minori, voltosi verso Agabio, mezzo ridendo gli disse: Agabio, e' basta la tua buona volontà; ma il Padre Fra Serafino, considerando che questa eredità, ovvero legato, sarebbe dannoso al Convento, non lo vuole accettare, e non volendo, tu non lo puoi forzare; sicché lascialo andare: e con le miglior parole che e' poté gli dette commiato. Il quale, come più presto ne ebbe agio, pien di mal talento se ne tornò a casa, dove stette parecchi dì che e' non si lasciò rivedere per la vergogna, né mai più confortò donne vedove a lasciare alle cappelle, e quelle massimamente che avevano i figliuoli grandi, per lor paura, e per le braveri
e de' quali gli fu forza sopportarsi in pace così gran beffe; abbenché, secondo che mi disse già un de' lor Frati, quel vicario ne fu per avere il malanno, e costògli più di cinquanta fiorini.
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