(Novella X)
LA SCIMMIA TAGLIALEGNA
T
AGLIAVA sopra il monte di Chiavello un boscaiuolo certe legne per ardere e come è usanza de' così fatti, volendo fendere un querciuolo assai ben grosso, montato sopra l'un de' capi co' piedi, dava sull'altro colla scure di gran colpi, e poi metteva nella fenditura che faceva, certo conio, perché e' la tenesse aperta, e acciocché meglio ne potesse cavar la scure, per darvi su l'altro colpo; e quanto più fendeva il querciuolo, tanto metteva più giù un altro conio, col quale e' faceva cadere il primo, e dava luogo alla scure che più facilmente uscisse della fenditura; e così andava facendo di mano in mano, fino a che egli avesse diviso il querciuolo. Poco lontano, dove questo omiciatto faceva questo esercizio, alloggiava una scimia, la quale avendo con grande attenzione mirato tutto quel che 'l buono uomo aveva fatto, quando fu venuta la ora del far colazione, e che 'l tagliatore, lasciati tutti li suoi istrumenti sul lavoro, se ne fu ito a casa, la scimia, senza discorrere il fine, si lanciò subito alla scure, e misesi a fendere uno di quei querciuoli; e volendo far né più né meno che s'avesse veduto fare al maestro, accadde, che cavando il conio della fenditura, né si accorgendo di metter l'altro più basso, acciocché il querciuolo non si rinchiudesse, il querciuolo si riserrò, e nel riserrarsi, e' le prese sprovvedutamente l'un de' piedi in modo, che egli vi rimase attaccato con esso, facendo, per lo stremo dolore che subito li venne, quei lamenti, che voi medesimi vi potete pensare. Al romor de' quali corse subito il tagliatore, e vedendo lo incauto animale così rimasto, come villan ch'egli era, in cambio di aiutarlo, li diede della scure sulla testa sì piacevolmente, che al primo colpo li fece lasciar la vita su quel querciuolo: e così s'accorse il pazzerello, che mal fanno coloro, che voglion far, come si dice, l'altrui mestiero.
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