Opere di letteratura italiana e straniera |
Pensate voi se Neri dunque, superbissimo di natura e bizzarro, si rodeva dentro; e non restando di gridare né di minacciare, non se ne accorgendo, faceva il suo peggio. Agnolo, fatto pigliar la scala da que' suoi garzoni e lavoranti, e gittatogli una cappa sopra, ne lo fece portare a casa, dove il Monaco correndo era andato, e ragguagliato d'ogni cosa la madre, dalla quale piangendo fu ricevuto; et ella e il zio lo fecero mettere in camera principale sopra il letto, così legato come egli era, dispostisi per infino alla mattina non gli dire e non gli dare niente, e, di poi, chiamati i medici, governarsene secondo che vedranno il bisogno: così per consiglio dello Scheggia fu conchiuso, e ognuno dopo si partì. Erasi intanto sparso di questo fatto la voce per tutto Firenze, e lo Scheggia e i compagni lieti se ne andarono a trovare il cavaliere, al quale ordinatamente tutto il successo raccontarono, che n'ebbe allegrezza e gioia grandissima. E perché già erano quattro ore sonate, si stettero seco a cena, senza avere colui d'intorno che rompesse loro la testa. Restato dunque solo e al buio in su quel letto legato come fosse pazzo, il male accorto Neri, cavato l'elmo e gli stinieri solamente, e coperto benissimo, nondimeno stette buona pezza cheto; e seco stesso discorso e ripensato la cosa molto bene, fu certo come per opera dello Scheggia era condotto in quel termine, e dal zio e dalla madre, anzi da tutto Firenze, tenuto per pazzo, onde da tanto dolore e così fatto dispiacere fu soprappreso, che, se' egli fosse stato libero, arebbe o a sé o ad altri fatto qualche gran male. Così senza dormire e pien di rabbia sendo dimorato infino a mezza notte, fu assaltato dalla fame e dalla sete; per lo che, gridando quanto egli ne aveva nella gola, non restava di chiamare or la madre or la serva, che gli portassero da mangiare e da bere; ma potette arrovellarsi, ché elle fecero sembiante sempremai di non lo sentire. La mattina poi a due ore di giorno, o in circa, venne il zio in compagnia di un suo fratel cugino, frate di San Marco, e di due medici allora i primi della città. E aperto la camera, avendo la madre un lume in mano, trovarono Neri dove la sera lo avevano lasciato; il quale dal disagio del tanto gridare, dal non avere né mangiato né bevuto né dormito, era indebolito di sorte, che egli era tornato mansueto come uno agnellino: alla venuta de' quali, alzando la testa, umanamente gli salutò, e oppresso gli pregò che fossero contenti, senza replicargli altro, di ascoltarlo cento parole, e di udire le sue ragioni. Onde Agnolo e gli altri cortesemente risposto che 'dicesse ciò che egli volesse, egli incominciò; e fattosi da capo, ordinatamente narrò loro tutta la cosa di punto in punto, affermando come lo Scheggia lo aveva tradito, e fattolo tenere e legare per matto; e poi soggiunse: - Se voi volete chiarirvi affatto, andate costì in casa il cavaliere de' Tornaquinci nostro vicino, e vedrete che egli ha ancora i due scudi in diposito. - Il zio e i medici, udendo favellare sì saviamente, e dir così bene le sue ragioni, giudicarono che egli dicesse la verità, conoscendosi assai bene chi fosse lo Scheggia. Pur, per certificarsi meglio, Agnolo, il frate e uno di que' medici, andatisene al cavaliere, trovarono esser vero tutto quello che Neri aveva detto; e di più disse loro messer Mario come lo Scheggia e i compagni, cenato la sera seco, ne avevano fatto le maggiori risa del mondo. Sicché, ritornati in uno stante, il zio si vergognava; e di sua mano scioltolo e disarmatòlo e chiestoli perdono, tutta la broda versava addosso allo Scheggia, contro al quale si accese di sdegno e di collera grandissima, Neri, dolente fuor di modo, fece tosto accendere un gran fuoco; e ringraziati e licenziati tutti coloro, si fece portare da mangiare: e fatto che egli ebbe una buona colazione, se ne andò nel letto a riposare, ché n'aveva bisogno.
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