Opere di letteratura italiana e straniera |
Subito, d'allegrezza pieno, rispose Guasparri: - Io son contento - e detteli l'anello; il quale l'era capitato nelle mani per conto dell'eredità, che se ne sarebbono avuti dalla mattina alla sera venticinque o trenta ducati d'oro; e così restati d'accordo, il Pilucca, lo Scheggia, il Monaco e Zoroastro si messeno in via, e tanto camminarono che in Borgo Stella giunsero; et a prima giunta lo Scheggia, vedendo l'uscio aperto, disse: - Io ho paura che non ti sia stato vuoto la casa. - Ohimè! rispose Guasparri, non m'avvidi, per la fretta e per la paura, di serrare. - Così, temendo di andare innanzi, disse al Pilucca: - Va là tu. - Ma perché v'era buio, il Monaco, che aveva una lanterna accesa, fattosi innanzi, disse: - Venite via. - Guasparri tremando, e quasi sbigottito, s'era messo dietro a tutti, come colui che aveva di che temere; ma poi che giunti furono all'uscio della camera, il Monaco, per parere, stava su le continenze; onde Zoroastro, fattosi innanzi, girando la campanella, aperse in un tratto, e la camera trovò e vide starsi nel modo usato; sicché di fatto ridendo, disse: - L'anello è guadagnato per noi: Guasparri, guarda qua: dove sono i lumicini, i morti, gli spiriti e i diavoli che tu dicevi? io credetti avere a vedere la bocca dell'Inferno. - Se mai uomo alcuno per alcuna nuova e maravigliosa cosa restò per tempo alcuno attonito e stupefatto, Guasparri fu desso. Egli non sapeva bene in qual mondo si fusse, e se quelle cose che egli aveva vedute, le aveva veramente vedute, o se gli era troppo paruto vedere, o se egli pure l'aveva sognate; e sbalordito e quasi affatto fuori di sé, riguardò la camera, e veggendo ogni cosa al suo luogo, non aveva ardire di favellare e di rispondere a coloro, che tuttavia lo proverbiavano con dire: - Ben dicevamo noi che tu ci burlavi e che tu facevi per farcene un'altra, e poi domani vantartene et uccellarci per tutto Firenze; ma in fede di Dio, che l'uccellato rimarrai tu, se già non è falso questo anello. - E con questi sì fatti e con altri rimbrotti, non restavano di riprenderlo e di garrirlo, tanto che egli, umilmente pregandoli che fussero contenti di tacere, rimase di ricomprare il rubino venticinque ducati, affinché questo fatto non si spargesse per la città; la qual cosa fuor di modo piacque ai compagni; e perché egli aveva paura a dormir solo, lo Scheggia rimase ad albergar seco, il Monaco se n'andò a casa sua e Zoroastro col Pilucca. La notte il misero Guasparri non potette mai chiudere occhi, ché sempre li pareva di vedere le passate cose; e fra sé ripensandovi, non se ne poteva dar pace; intanto che, facendosi dì chiaro, si levò senza aver mai dormito punto, e così lo Scheggia, il quale n'andò a casa il Pilucca; e Guasparri a procacciare i denari per riscuotere l'anello, acciocchè la cosa andasse segreta. Il che fatto, e riscosso da Zoroastro il suo rubino, se n'andò in villa a stare con la moglie, per vedere se gli poteva uscire quella fantasia di testa; dove il terzo giorno ammalò di sorte, che egli se ne fu per morire: pur poi guarito, tutto si scorticò, come se egli avesse bevuto veleno; tanto fu fiera e possente la paura! Zoroastro, lo Scheggia e i compagni, avuti quei venticinque fiorini, attesero, quanto durarono, a sguazzare e far la miglior vita del mondo, ridendosi e burlandosi di quel buono omiciatto di Guasparri. Il quale, tornato l'Ognissanti in Firenze, per star con l'animo riposato e senza sospetto, vendé la casa di Borgo Stella, e compronne un'altra da San Pier Maggiore, dove coloro in capo di pochi mesi gli fecero un'altra burla, della quale avvedutosi per opera di quel suo parente, e da lui ammaestrato, per li suoi consigli finalmente lasciò in tutto e per tutto la pratica di coloro.
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