Opere di letteratura italiana e straniera |
(Da Le Cene, Cena seconda, novella X)
Occorse che i signori Veneziani fecero mutazione delle genti d'arme, ch'essi sogliono tenere in Cipri, ed elessero per capitano dei soldati che là mandavano, il Moro; il quale, ancora che molto lieto fosse dell'onore che gli era offerto (però che tal grado di dignità non si suol dare, se non ad uomini e nobili, e forti e fedeli, e che abbiano mostrato avere in sé molto valore), si scemava nondimeno la sua allegrezza, qualora egli si poneva innanzi la lunghezza e la malagevolezza del viaggio, pensandosi che Disdemona ne dovesse rimanere offesa. La donna, che altro bene non aveva al mondo che il Moro, ed era molto contenta del testimonio ch'aveva avuto il marito della sua virtù, da così possente e nobile repubblica, non vedea l'ora che il marito colle sue genti, si mettesse in cammino, ed ella andasse seco in compagnia in così onorato luogo; ma le dava gran noia il vedere il Moro turbato. E non ne sapendo la cagione, un giorno mangiando, gli disse: - Che vuol egli dir, Moro, che poi che vi è stato dato dalla signoria così onorato grado, ve ne state tanto maninconico? A Disdemona disse il Moro: - Turba la contentezza del ricevuto onore, l'amore che io ti porto, perché io veggo di necessità delle due cose doverne avvenir l'una, ovvero che io ti meni con esso meco a' pericoli del mare, ovvero che, per non ti dar questo disagio, ti lasci in Venezia. La prima non mi potrebbe essere se non grave, perché ogni fatica che tu ne sostenessi, ed ogni pericoli che ci sopravvenisse, mi recherebbe estrema molestia: la seconda, devendoti lasciare, mi sarebbe odioso a me medesimo, perché, partendomi da te, mi partirei dalla mia vita. Disdemona, ciò inteso: - Deh - disse, marito mio, che pensieri son questi che vi vanno per l'animo? a che lasciate che cosa tal vi turbi? Voglio io venire con voi, ovunque andrete, sebbene così dovessi passare in camicia per lo fuoco, come son per venire per acqua con voi, in sicura e ben guarnita nave. E se pure vi saranno pericoli e fatiche, io con voi ne voglio essere a parte, e mi terrei d'essere poco amata da voi, quando, per non mi avere in compagnia nel mare, pensaste di lasciarmi a Venezia, o vi persuadeste che più tosto mi volessi star qui sicura, ch'essere con voi in uno istesso pericolo. Però voglio che vi apparecchiate al viaggio, con tutta quella allegrezza che merita la qualità del grado che tenete. Gittò allora le braccia al collo, tutto lieto, il Moro alla mogliera, e, con uno affettuoso bacio, le disse: - Iddio ci conservi lungamente in questa amorevolezza, moglie mia cara. E indi a poco pigliati gli suoi arnesi, e messosi ad ordine per lo cammino, entrò colla sua donna e con tutta la compagnia nella galea, e date le vele al vento si mise in cammino, e con somma tranquillità del mare, se n'andò in Cipri. Aveva costui nella compagnia un alfiero di bellissima presenza, ma della più scellerata natura, che mai fosse uomo del mondo. Era questi molto caro al Moro, non avendo egli delle sue cattività notizia alcuna; perché quantunque egli fosse di vilissimo animo, copriva nondimeno coll'alte e superbe parole, e colla sua presenza di modo la viltà ch'egli chiudea nel cuore, che si scopriva nella sembianza un Ettore, od un Achille. Aveva similmente menato questo malvagio la sua moglie in Cipri, la quale era bella ed onesta giovane, e per essere Italiana, era molto amata dalla moglie del Moro, e si stava la maggior parte del giorno con lei. Nella medesima compagnia era anco un capo di squadra, carissimo al Moro. Andava spessissime volte questi a casa del Moro, e spesso mangiava con lui e con la moglie. Laonde la donna, che lo conosceva così grato al suo marito, gli dava segni di grandissima benivolenza; la qual cosa era molto cara al Moro. Lo scellerato alfiero, non curando punto la fede data alla sua moglie, né amicizia, né fede, né obbligo ch'egli avesse al Moro, s'innamorò di Disdemona ardentissimamente, e voltò tutto il suo pensiero a vedere se gli poteva venir fatto di godersi di lei; ma non ardiva di dimostrasi, temendo che se il Moro se ne avvedesse, non gli desse su
bito morte. Cercò egli con vari modi, quanto più occultamente poteva, di fare accorta la donna ch'egli l'amava; ma ella, ch'avea nel Moro ogni suo pensiero, non pensava punto né allo alfiere, né ad altri. E tutte le cose ch'egli facea per accenderla di lui, non più operavano, che se fatte non le avesse. Onde si immaginò costui che ciò avvenisse, perché ella fosse accesa del capo di squadra, e pensò volerlosi levar dinanzi gli occhi. E non pure a ciò piegò la mente, ma mutò l'amore, ch'egli portava alla donna, in acerbissimo odio; e si diè con ogni studio a pensare, come gli potesse venir fatto che, ucciso il capo di squadra, se non potesse goder della donna, il Moro anco non ne godesse. E rivolgendosi per l'animo varie cose, tutte scellerate e malvagie, alla fine si deliberò di volerla accusare di adulterio al marito; e dargli ad intendere che l'adultero era il capo di squadra; ma sappiendo costui l'amore singolare che portava a Disdemona, e la amicizia ch'egli avea col capo di squadra, conosceva apertamente che, se con astuta froda non faceva inganno al Moro, era impossibile dargli a vedere né l'uno né l'altro. Per la qual cosa si mise ad aspettare che il tempo ed il luogo gli aprisse la via da entrare a così scellerata impresa. E non passò molto, che il Moro, per aver messa mano alla spada il capo di squadra, nella guardia, contra un soldato, e dategli delle ferite, lo privò del grado; la qual cosa fu gravissima a Disdemona, e molte volte aveva tentato di rappacificare il marito con lui. Tra questo mezzo, disse il Moro allo scellerato alfieri, che la moglie gli dava tanta seccaggine per lo capo di squadra, che temea finalmente di non essere astretto a ripigliarlo. Prese da ciò il mal uomo argomento di por mano agli orditi inganni, e disse: Ha forse Disdemona cagione di vederlo volentieri. E perché? disse il Moro. Io non voglio, rispose lo alfieri, por mano tra marito e moglie; ma se terrete aperti gli occhi, voi stesso lo vi vedrete. Né per diligenza che facesse il Moro, volle lo alfleri più oltre passare; benché lasciarono tali parole così pungente spina nell'animo del Moro, che si diede con sommo studio a pensare ciò che volessero dire tali parole, e se ne stava tutto maninconioso. Laonde, tentando un giorno la moglie di ammollire l'ira sua verso il capo di squadra, e pregandolo a non volere mettere in oblio la servitù e l'amicizia di tanti anni, per un piccolo fallo, essendo massimamente nata pace fra il soldato ferito ed il capo di squadra, venne il Moro in ira, e le disse: Gran cosa è questa, Disdemona, che tu tanta cura ti pigli di costui; non è però egli né tuo fratello, né tuo parente, che tanto ti debba essere a cuore. La donna, tutta cortese ed umile: Non vorrei, disse, che voi vi adiraste con meco; altro non mi muove che il dolermi di vedervi privato di così caro amico, qual so, per lo testimonio di voi medesimo, che vi,è stato il capo di squadra. Non ha però egli commesso sì grave errore, che gli debbiate portare tanto odio. Ma voi Mori siete di natura tanto caldi, che ogni poco dì cosa vi move ad ira ed a vendetta. A queste parole più irato rispose il Moro: - Tale lo potrebbe provare, che non sel crede; vedrò tal vendetta delle ingiurie che mi son fatte, che ne resterò sazio. Rimase la donna tutta isbigottita a queste parole; e veduto, fuor del suo costume, il marito contra lei riscaldato, umilmente disse: - Altro che buon fine a parlarvi di ciò mi ha indotta; ma perché più non vi abbiate di adirar meco, non vi dirò mai più di ciò parola. Veduta il Moro la instanza che di nuovo gli avea fatta la moglie in favore del capo di squadra, si imaginò che le parole che gli avea detto lo alfieri, gli avessero voluto significare, che Disdemona fosse innamorata di lui, e se n'andò a quel ribaldo tutto maninconioso, e cominciò a tentare che egli più apertamente gli parlasse. L'alfieri, intento al danno di questa misera donna, dopo l'avere finto di non voler dir cosa che fosse per dispiacergli, mostrandosi vinto da' prieghi del Moro, disse: Io non posso negare, che non mi incresca incredibilmente di avervi a dir cosa,
che sia per esservi più di qualunque altra molesta; ma poi, che pur volete ch'io la vi dica, e la cura che io debbo avere dell'onor vostro, come di mio signore, mi sprona anco a dirlovi, non voglio ora mancare né alla vostra dimanda, né al debito mio. Dovete adunque sapere che non per altro è grave alla donna vostra il veder il capo di squadra in disgrazia vostra, che per lo piacere che ella si piglia con lui, qualora egli in casa vostra viene, come colei a cui già è venuta a noia questa vostra nerezza. Queste parole passarono il cuore al Moro insino alle radici; ma, per saper più oltre (ancora ch'egli credesse vero quanto avea detto l'alfieri, per lo sospetto che già gli era nato nell'animo), disse, con fiero viso: - Non so a che mi tenga che non ti tagli questa lingua tanto audace, che ha avuto ardire di dar tale infamia alla donna mia. L'alfieri allora: - Non mi aspettava - disse - capitano, di questo mio amorevole ufficio altra mercede; ma, poi che tanto oltre mi ha portato il debito, e il desiderio dell'onor vostro, io vi replico che così sta la cosa come intesa l'avete, e se la donna, col mostrar di amarvi, vi ha così appannati gli occhi, che non abbiate veduto quel che veder dovevate, non è mica per ciò che io non vi dica il vero. Perché il medesimo capo di squadra lo ha detto a me, come quegli, cui non pareva la sua felicità compiuta, se non ne faceva alcuno altro consapevole. Egli soggiunse: - E se io non avessi temuta l'ira vostra, gli avrei dato, quando ciò mi disse, quella mercede, coll'ucciderlo, della quale egli era degno. Ma poscia che il farvi sapere quello che più a voi che a qualunque altro appartiene, me ne fa avere così sconvenevole guiderdone, me ne vorrei essere stato cheto, che non sarei, tacendo, incorso nella disgrazia vostra. Il Moro allora tutto cruccioso: - Se non mi fai, disse, vedere cogli occhi quello che detto mi hai, viviti sicuro che ti farò conoscere, che meglio per te sarebbe che tu fossi nato mutolo. Agevol mi sarebbe stato questo - soggiunse il malvagio - quando egli in casa vostra veniva; ma ora che, non per quello, che bisognava, ma per vie più lieve cagione, l'avete scacciato, non mi potrà essere se non malagevole; che ancora che io stimi, ch'egli Disdemona si goda, qualora voi gliene dato l'agio, molto più cautamente lo dee fare ora, che si vede essersi venuto in odio che non facea di prima. Ma anco non perdo la speranza di potervi far vedere quel che creder non mi volete. E con queste parole si dipartirono. Il misero Moro, come tocco da pungentissimo strale, se ne andò a casa, attendendo che venisse il giorno, che l'alfieri gli facesse veder quello che lo dovea far per sempre misero. Ma non minor noia dava al maladetto alfieri la castità, ch'egli sapeva che osservava la donna, per che gli parea non poter ritrovar modo a far credere al Moro quello che falsamente detto gli aveva; e voltato in varie parti il pensiero, pensò lo scellerato a nuova malizia. Andava sovente la moglie del Moro, come ho detto, a casa della moglie dell'alfieri, e se ne stava con lei buona parte del giorno; onde veggendo costui ch'ella talora portava seco un pannicello da naso, ch'egli sapeva che le avea donato il Moro, il qual pannicello era lavorato alla moresca sottilissimamente, ed era carissimo alla donna, e parimente al Moro, si pensò di toglierle secretamente, e quindi apparecchiarle l'ultimo danno. Ed avendo egli una fanciulla di tre anni, la quale era molto amata da Disdemona, un giorno, che la misera donna a casa di questo reo si era andata a stare, prese egli la fanciulla in braccio, ed alla donna la porse; la quale la prese e se la recò al petto. Questo ingannatore, che eccellentemente giocava di mano, le levò da cintola il pannicello così accortamente, che ella punto non se n'avvide, e da lei tutto allegro di dipartì. Disdemona, ciò non sappiendo, se ne andò a casa, e occupata da altri pensieri, non si avvide del pannicello. Ma indi ad alquanti giorni, cercandone, e nol ritrovando, stava tutta timida che il Moro non gliene chiedesse, come egli sovente facea. Lo scellerato alfieri, pigliatosi co
modo tempo se ne andò al capo di squadra, e con astuta malizia gli lasciò il pannicello a capo del letto, né se ne avvide il capo di squadra se non la seguente mattina, che levandosi dal letto, essendo il pannicello caduto in terra, vi pose il piede sopra; né sapendosi imaginare come in casa l'avesse, conoscendolo cosa di Disdemona, deliberò di dargliele, e attendendo che il Moro fosse uscito di casa, se n'andò all'uscio di dietro, ed ivi picchiò. |