Opere di letteratura italiana e straniera |
Volle la fortuna, che parea che coll'alfieri congiurata si fosse alla morte della meschina, che in quell'ora appunto il Moro si venne a casa, e udendo picchiare l'uscio, si fece alla finestra, e tutto cruccioso disse: Chi picchia là? Il capo di squadra, udita la voce del Moro, temendo ch'egli non scendesse a danno suo, senza risponder parola si diede a fuggire. Il Moro, scese le scale, e aperto l'uscio, uscì nella strada, e cercando di lui nol ritrovò; onde entrato in casa, pieno di mal talento, dimandò alla moglie, chi fosse colui che laggiù picchiava. La donna rispose quel che vero era, che nol sapeva; ma il Moro disse: - Mi ha egli paruto il capo di squadra. - Non so io - disse ella - se sia stato né egli né altri. Rattenne il Moro il furore, quantunque d'ira ardesse, né prima volle far cosa alcuna, che parlasse coll'alfieri, al quale subitamente se n'andò, e gli disse quanto era occorso, e lo pregò ad intendere dal capo di squadra tutto quello ch'egli poteva intorno a ciò. Egli, lieto di così fatto avvenimento, gli promise di farlo. Ed al capo di squadra parlò un giorno costui, che il Moro era in luogo, onde gli poteva vedere insieme ragionare; e parlandogli di ogn'altra cosa che della donna, facea le maggiori risa del mondo, e mostrando di maraviglìarsi, facea di molti atti, e col capo e colle mani, come che udisse cose maravigliose. Il Moro, tosto che gli vide partiti, andò verso l'alfieri, per sapere ciò che colui detto gli avesse. Questi, dopo aversi fatto lungamente pregare, al fin gli disse: - Non mi ha egli celata cosa alcuna, e mi ha detto che si ha goduto della moglie vostra, ogni volta che voi, coll'esser fuori, gli ne avete dato tempo, e che l'ultima fiata ch'egli è stato con lei, gli ha ella donato quel pannicello da naso, che voi quando la sposaste le deste in dono. Il Moro ringraziò l'alfieri, e gli parve che se ritrovava che la donna non avesse il pannicello, potesse essere chiaro che così fosse, come gli avea detto l'alfieri. Per la qual cosa, un giorno dopo desinare, entrato in varii ragionamenti colla donna, le chiese il pannicello. La infelice, che di questo avea molto temuto, a tal dimanda divenne nel viso tutta fuoco; e per celare il rossore, il quale molto bene notò il Moro, corse alla cassa, e finse di cercarlo; e dopo molto averlo cercato: - Non so, disse, com'ora non lo ritrovi: l'avreste voi forse avuto? - S'avuto lo avessi - disse egli, - perché te lo chiederei io? ma ne cercherai più agiatamente un'altra volta. E partitosi cominciò a pensare come devesse far morire la donna, e insieme il capo di squadra, sì che a lui non fosse data la colpa della sua morte. E pensando giorno e notte sopra ciò, non poteva fare che la donna non si avvedesse ch'egli non era quegli, che verso lei per addietro essere soleva. E gli disse più volte: - Che cosa avete voi, che così vi turbi? che ove solevate essere il più festoso uomo del mondo, siate ora il più maninconico che viva? Trovava il Moro varie cagioni di rispondere alla donna, ma non ne rimaneva ella punto contenta. E posto ch'ella sapesse che per niuno suo misfatto non dovesse essere così turbato il Moro, dubitava nondimeno che per la troppa copia ch'egli aveva di lei, non gli fosse venuta a noia. E talora diceva colla moglie dell'alfieri: - Io non so che mi dica io del Moro; egli soleva essere verso me tutto amore, ora, da non so che pochi giorni in qua, è divenuto un altro. E temo molto di non essere io quella che dia esempio alle giovani, di non maritarsi contra il voler de' suoi; a che da me le donne italiane imparino di non si accompagnare con uomo, cui la natura, e il cielo, e il modo della vita disgiunse da noi. Ma perché io so che egli è molto amico del vostro marito, e comunica con lui le cose sue, vi prego che, se avete intesa cosa alcuna da lui, della quale me possiate avvisare, che non mi manchiate di aiuto; e tutto ciò le diceva dirottamente piangendo. La moglie dell'alfieri, che il tutto sapeva (come colei, cui il marito aveva voluta usare per mezzana alla morte della donna, ma non l'aveva ella mai voluto acc
onsentire, e temendo del marito, non ardiva dirle cosa alcuna), solo le disse: - Abbiate cura di non dare di voi sospetto al marito, e cercate con ogni studio ch'egli in voi conosca amore e fede. - Ciò faccio io - disse ella - ma nulla mi giova. Il Moro, in questo mezzo tempo, cercava tuttavia di più certificarsi di quello che non avrebbe voluto ritrovare, e pregò l'alfieri, che operasse di modo, che potesse vedere il pannicello in podestà del capo di squadra; e benché ciò fosse grave al malvagio, gli promise nondimeno di usare ogni diligenza, perché egli di ciò si certificasse. Aveva il capo di squadra una donna in casa, che maravigliosi trapunti faceva sulla tela di rensa; la quale veggendo quel pannicello, e intendendo ch'era della donna del Moro, e ch'era per esserle reso prima ch'ella l'avesse, si mise a farne un simile; e mentre ella ciò faceva, s'avvide l'alfieri ch'ella appresso una finestra si stava, e da chi passava per la strada poteva essere veduta; onde fece egli ciò vedere al Moro. Il quale tenne certissimo che l'onestissima donna fosse in fatto adultera, e conchiuse coll'alfieri di uccidere lei ed il capo di squadra. Trattando ambidue tra loro come ciò si devesse fare lo pregò il Moro ch'egli volesse essere quegli che il capo di squadra uccidesse, promettendo di restargliene obbligato eternamente. E ricusando egli di volere far cosa tale, come malagevolissima e di molto pericolo, per essere il capo di squadra non meno accorto che valoroso, dopo molto averlo pregato datagli buona quantità di danari, lo indusse a dire che proverebbe di tentar la fortuna. Fatta questa risoluzione, uscendo una sera il capo di squadra di casa di una meretrice colla quale egli si sollazzava, essendo la notte buia, gli si accostò l'alfieri con la spada in mano, e gli dirizzò un colpo alle gambe, per farlo cadere, ed avvenne ch'egli gli tagliò la destra coscia a traverso, onde il misero cadde. Gli fu addosso l'alfieri, per finire di ucciderlo; ma avendo il capo di squadra, che coraggioso era ed avvezzo nel sangue e nelle morti, tratta la spada, e così ferito come egli era, dirizzatosi alla difesa, gridò ad alta voce: - Io sono assassinato. Per la qual cosa, sentendo l'alfieri correr gente, e alquanti de' soldati ch'ivi attorno erano alloggiati, si mise a fuggire per non vi essere colto; e data una volta, fe' vista anch'egli di essere corso a romore. E ponendosi tra gli altri, vedutagli mozza la gamba, giudicò che se bene non era morto, morirebbe ad ogni modo dì quel colpo, e quantunque fosse di ciò lietissimo, si dolse nondimeno col capo di squadra, come s'egli suo fratello fosse stato. La mattina la cosa si sparse per tutta la città, e andò anco alle orecchie di Disdemona, onde ella, ch'amorevole era, e non pensava ch'indi ne dovesse avvenir male, mostrò di avere grandissimo dolore di così fatto caso. Di ciò fece il Moro pessimo concetto, e andò a ritrovare lo alfieri, e gli disse: - Tu sai bene che l'asina di mia moglie è in tanto affanno per lo caso del capo di squadra, ch'ella è per impazzire. - E come potevate - disse egli - pensare altrimenti, essendo colui l'anima sua. - Anima sua, eh? - replicò il Moro, - io le tramò ben io l'anima del corpo, che mi terrei non essere uomo, se non togliessi dal mondo questa malvagia. E discorrendo l'uno con l'altro, se di veleno o di coltello si devea far morir la donna, né accettandosi questo né quello da loro, disse l'alfiero: Un modo mi è egli venuto nella mente, che vi sodisfarete, e non se ne avrà sospetto alcuno ed egli è tale: La casa ove voi state è vecchissima, e il palco della camera vostra ha di molte fessure; voglio che con una calza piena di rena percotiamo Disdemona, tanto che ella ne muoia, perché non appaia in lei segno alcuno di battitura; morta che ella sarà, faremo cadere parte del palco, e romperemo il capo alla donna, fingendo che una trave nel cadere rotta gliele abbia ed uccisa, e a questo modo non sarà persona che di voi pigli sospetto alcuno, stimando ognuno la sua morte essere venuta a caso. Piacque al Moro il crudele consiglio; ed aspettato il tempo che convenevol
e gli parve, essendo egli una notte con lei nel letto, ed avendo già nascoso l'alfieri in un camerino, che nella camera entrava, l'alfiero secondo l'ordine tra lor dato, fe' non so che strepito nel camerino, e sentitolo, subitamente disse il Moro alla moglie: - Hai tu sentito quello strepito? - Hollo sentito - disse ella, Levati - soggiunse il Moro - e vedi che cosa è. Levossi l'infelice Disdemona, e tosto ch'ella fu appresso il camerino, n'uscì l'alfieri, il quale essendo forte e di buon nerbo, colla calza, che in punto aveva, le diede una crudel percossa, nel mezzo della schiena, onde la donna subito cadde, senza poter trarne appena fuori il fiato. Ma con quella poca voce che poté avere, chiamò il Moro, che l'aiutasse. Egli uscito del letto, le disse: - Sceleratissima donna, la mercede hai della tua disonestà; così si trattano quelle che, fingendo di amare i loro mariti, pongono loro le corna in capo. La misera donna, ciò udendo, e sentendosi giunta al fine (però che l'alfiero un altro colpo dato le avea), disse, che in testimonio della sua fede, ella chiamava la giustizia divina, poiché quella del mondo veniva meno; e chiamando ella Iddio che l'aiutasse, sopraggiungendo la terza percossa, rimase uccisa dall'empio alfieri. Poscia messala nel letto, e spezzatale la testa, fecero egli ed il Moro cadere, come aveano ordinato fra loro, il palco della camera, e cominciò il Moro a chiamare soccorso, che la casa cadeva; alla voce dei quale consono i vicini, e scoperto il tetto, trovarono la donna sotto le travi morta. La qual cosa, per la buona vita della donna, increbbe ad ognuno. Il giorno seguente fu Disdemona seppellita, con universal dolore di quel popolo. Ma non volle Iddio, giusto riguardatore degli animi altrui, che così gran sceleraggine se ne rimanesse senza la dicevole pena. Imperocché il Moro, che la donna aveva amata più che gli occhi suoi, veggendosene privo, cominciò ad avere tanto desiderio di lei, che l'andava, come fuori di sé, cercando per tutti i luoghi della casa; e considerando tra sé che l'alfieri era stato cagione ch'egli avesse perduto colla sua donna tutto il dolce della vita, e anco se medesimo, gli venne lo scelerato in tanto odio, che non aveva occhio col quale vederlo potesse; e se non avesse avuto timore della inviolabile giustizia de' signori veneziani, l'avrebbe palesemente ucciso. Ma non potendo far questo, con sua salvezza, gli levò la insegna e più nol volle nella compagnia; onde nacque tanto aspra inimicizia tra l'uno e l'altro, che non si potrebbe imaginare la maggiore né la più grave. Per la qual cosa l'alfiero, peggiore di tutti gli scelerati, voltò tutto il pensiero a' danni del Moro, e ritrovato il capo di squadra, che già era risanato, e con una gamba di legno se n'andava invece della tagliata, gli disse: - Venuto è il tempo che tu possi far vendetta della tua tagliata gamba; e quando tu voglia venire con esso meco a Venezia, io ti dirò chi è stato il malfattore, che qui non ardirei di dirloti, per molti rispetti: ed io ne faro per te testimonio in giudicio. Il capo di squadra che si ritrovava fieramente offeso, e non sapeva perché, ringraziò l'alfieri, e seco a Venezia se ne venne. Ove giunti che furono, gli disse che il Moro era stato quegli che gli avea tagliata la gamba, per opinione che gli era nata nella testa, ch'egli si giacesse con Disdemona; e che, per questa medesima cagione, egli aveva uccisa lei, e poscia data voce che il palco caduto uccisa l'avesse. Il capo di squadra, inteso ciò, accusò il Moro alla signoria, e della gamba a lui tagliata, e della morte della donna, e indusse per testimonio l'alfieri, il quale disse che l'uno e l'altro era vero, perché il Moro avea il tutto comunicato seco, e l'avea voluto indurre a fare l'uno e l'altro maleficio; e che avendo poscia uccisa la moglie, per bestial gelosia che gli era nata nel capo, gli aveva narrata la maniera ch'egli avea tenuto in darle morte. I signori veneziani, intesa la crudeltà usata dal barbaro in una lor cittadina, fecero dar delle mani addosso al Moro in Cipri, e condurlo a Venezia, e con molti tormenti cercar
ono di ritrovare il vero. Ma vincendo egli, col valore nell'animo, ogni martorio, il tutto negò così costantemente, che non se ne poté mai trarre cosa alcuna. Ma sebbene, per la sua constanza, egli schifò la morte, non fu però che, dopo lo essere stato molti giorni in prigione non fosse dannato a perpetuo esilio, nel quale finalmente fu da' parenti della donna, come egli meritava, ucciso. Andò l'alfieri alla sua patria e non volendo egli mancare del suo costume, accusò un suo compagno, dicendo ch'egli ricercato l'avea di ammazzare un suo nimico, che gentiluomo era; per la quale cosa fu preso colui, e messo al martorio. E negando egli esser vero quanto dicea l'accusatore, fu messo al martorio anco l'alfieri per paragone; ove fu talmente collato, che gli si corroppero le interiora, onde, uscito di prigione, e condotto a casa, miseramente se ne morì: tal fece Iddio vendetta della innocenza di Disdemona. E tutto questo successo narrò la moglie dell'alfieri, del fatto consapevole, poi ch'egli fu morto, come io lo vi ho narrato.
|