Opere di letteratura italiana e straniera |
Era il padre della giovane notaio; laonde veggendo egli quelle scritture in pubblica forma, e solennemente celebrate, rimase contento, né prima si partì, che la figliuola gli promisse per moglie; e indi a due o tre giorni si celebrarono le nozze. Stette Apatilo colla moglie alquanti mesi, e fra questo tempo, avvenne che uno di coloro, ch'era nominato ne' contratti, si infermò a morte, e ritrovandosi in contado appresso ad Ancona mandò per un religioso frate, che era dell'ordine de' Carmelitani, e a lui si confessò, pregandolo a pregare Iddio per l'anima sua, ed un grosso legato lasciò al convento di quell'ordine. Era stato questo buon frate alcun tempo in Pesaro, e si abbatté ad essere stato testimonio al contratto finto che aveva fatto Apatilo, col mezzo di uno di que' suoi, ch'esso in simili casi adoperava, in nome di questo mercatante. Onde ragionando dopo la confessione il valent'uomo delle cose sue col frate, e di quello ch'egli volea che si facesse dopo la morte sua, sovvenne al frate di essere stato testimonio al contratto, nel quale il finto uomo, sotto nome di questo mercatante, si era chiamato avere avuto da Apatilo una grossa somma di denari da trafficare e considerando diligentemente, si avvide che questi, quegli non era che il contratto fatto aveva. Pure, per divenire più certo, gli disse: Messere, di molte cose mi avete voi favellato, ma di una che molto importa non mi avete detta parola. E quale è ella? disse il buon uomo. Il contratto che voi faceste in Pesaro con Apatilo dei danari che esso vi diede a trafficare, ai quale contratto io mi ritrovai presente, e vi fui testimonio. - Vi ingannate, padre, rispose egli, perché io mai non fui in Pesaro, né Apatilo conobbi io mai, non che con lui contratto facessi. E che bisogno ho io di pigliare denari, che ho dato a trafficare ad altri più di ventimila ducati in varie maniere di traffichi? Non andò più oltre il frate, ma bene si tenne certo che il contratto, al quale egli era stato presente, fosse simulato, e seco si dolse di non si raccordare chi fosse stato il notaio che la pubblica scrittura aveva celebrata, perché egli era di animo di palesare questa così gran froda. Ma Iddio, che non consente ch'abbiano luogo le frode seminate dal nemico dell'umana generazione nel mondo, a danno degli uomini, operò che questo inganno scoperse tutti gli altri, fatti da questo ingannatore. Imperocché subito che intese Apatilo che il mercatante era morto, si mosse ad aggravare i figliuoli, eredi del padre, non solo per la sorte, ma per l'utile ancora. Parve a costoro strano, che essendo il padre loro uno de' grossi mercatanti della Marca, avesse presi danari da altri per trafficargli. Ma veggendone il pubblico contratto, non sapeano che dirsi altro, se non che non poteva loro capire nell'animo, che il loro padre avesse pigliati danari altrui, avendone egli dati a varie persone de' suoi, perché fossero esercitati, e che non credevano quel contratto vero. Apatilo a queste parole, acceso d'ira: E che, disse, i notai di Pesaro non sono di fede? meritereste gastigo di questa vostra così strana parola; e prego il signore giudice che lo vi dia, uomini malvagi. Il giudice che maturo uomo era, pose fine alle contese, e chiedendogli quegli eredi termine a provare, gliele assignò volentieri, come colui che, considerata la qualità del mercatante, venne quasi in opinione di quel che era. Andarono que' figliuoli a casa, voltarono tutte le scritture del padre, e veggendo essere stato diligentissimo, e non ritrovando di questo cosa alcuna, parlarono alla madre, la quale lor disse, che di tutte le cose che maneggiava il marito, ne faceva egli lei consapevole; ma che di cosa tale, esso mai non le avea detta parola, e che per ciò ella istimava che non ne fosse nulla. E dopo tali parole, disse loro: - Figliuoli miei, io mi credo che non sia se non bene, che voi cerchiate del confessore, al quale si è confessato il padre vostro; però che di leggieri potrebbe essere che di ciò gli avesse ragionato, e potreste forse avere da lui notizia del vero. Accettarono i buoni fi
gliuoli il consiglio della madre loro, e andatisene in Ancona, ritrovarono il frate, e gli dissero ciò che contra loro faceva Apatilo. Il frate, che già dell'inganno si era avveduto, disse loro: Figliuoli, io fui testimonio al contratto del quale voi mi ragionate, ed insieme vi fu il compagno che meco venne, quando a confessare il padre vostro andai, e per le parole di vostro padre, ché di ciò diligentemente lo domandai, e per quello che noi vedemmo, egli non fu colui che con Apatilo il contratto facesse; e conchiuso abbiamo tra noi, che quel fraudolente, con persona finta, abbia a danno vostro ordito questo inganno. I giovani, avendo ciò inteso, si ritornarono a Pesaro, e dissero al giudice che quella scrittura, che produceva Apatilo, era falsa, e che si offerivano a provarla tale. Il giudice, che già era venuto in questa opinione, non volle mostrare così di subito di far fede a' detti loro, ma disse: - Guardate di non far cosa che vi ritorni a danno; perché volendo voi dar macchia di falsità ad un notaio, riputato uomo da bene e di buona fama, ed anco ad un buon cittadino della terra, incorrereste voi nella medesima pena, che si dovrebbe all'uno e all'altro, quando si ritrovassino aver commesso così fatto delitto, se forse non fossino colpevoli. - Non dubitiamo, risposero essi, di non vi fare così manifesta la froda di questo mal uomo, che ne restiate chiarissimo. Venne, mentre che il giudice parlava, Apatilo a sollecitare la spedizione della causa, ed essi gli dissero: - Sarebbe meglio che tu ti vivessi del tuo, e non volessi con insidie e con contratti falsi rubare l'altrui. Apatilo, che a tali parole dovea risentirsi, e lasciare quella impresa, spinto dalla mala intenzione, disse a que' giovani molto male, e diede loro querela d'infamia, instando che il giudice gli punisse gravemente. Onde si vide che come sotto spezie di trarre utile gli avea tolto il demonio lo ingegno, così anco non consentì che veggendosi porre innanzi agli occhi, come manifesto, l'error suo, si risentisse punto, per condurlo a pubblico vituperio. Il giudice accettò quel che disse l'una e l'altra parte, secondo il costume de' giudici, e promisse di far quanto comportava il dritto della giustizia, e diede spazio di tempo a que' giovani di condurre i testimonii loro. Così essi se n'andarono in Ancona, e fecero venire i due frati, ed esaminati che furono, veduta la froda di Apatilo, subito il giudice gli fe' dare delle mani addosso a' sergenti, e porlo in prigione. Né fu egli sì tosto preso, che si sparse la fama per la città, e si giudicò da ognuno ch'egli ne devesse avere un severo gastigo, e insieme con lui coloro ch'erano stati condotti a' contratti, ed i notai, che celebrati gli aveano. Onde pieni di paura, que' semplici, ch'erano stati condotti a tali falsi contratti, con finto nome di questo e di quello, avvedutisi dello inganno che loro avea fatto lo ingannatore, se ne andarono al giudice, e dissono ciò che loro avea fatto fare Apatilo, iscusandosi, che non sapeano essi ciò che si facessino; ed i notai mostrarono al giudice, che non aveano colpa alcuna nella fraude, però ch'essi, non conoscendo le parti, ingannati dall'orrevole abito e dal buono aspetto di coloro, che si chiamavano ricevere i danari da Apatilo, non si erano mai avveduti che sotto que' contratti si celasse così fatto inganno, e perciò ne aveano fatta la pubblica scrittura, la quale, quanto a loro, non conteneva falsità alcuna, quantunque, per colpa del malvagio, ella falsa si fosse. Vedutosi da tali prove convinto Apatilo, non seppe negare il vero, e confessò che tutti i contratti, de' quali l'aveano accusato i notai, e i mezzani altresì, erano stati finti e simulati. Questo intendendo il suocero e la moglie, rimasono i più scontenti che mai fossero; egli per vedersi aver data la figliuola od uno, che non solo si era scoperto poverissimo, ma infame; la povera giovane, perché si vedeva aver data la sua virginità a sì mal uomo, e posto il suo amore in così sozzo luogo. Il signore della terra, poscia ch'ebbe inteso dal giudice così grave inganno, volle che coloro, che falsament
e erano stati condotti a celebrare i contratti sotto finto nome, ricevendone la mercede, fossero pubblicamente frustati. E voleva che Apatilo, colla sua morte, passasse ad esempio di ogni malvagio; ma la moglie di Apatilo, che gentilissima giovane era, se n'andò al giudice, e pregollo a non voler acconsentire ch'elle vedesse colui malamente morto, al quale ella era stata con tanto amore congiunta. Alla quale disse il giudice: - Gentilissima giovane, non meritava questo reo donna simile a voi, ed eravate voi più degna di miglior marito. Ma poscia che pure ha così apportato la vostra sinistra sorte, vi dico che per ragione egli non puote essere morto, ma bene infamato pubblicamente. Ma se io fossi voi, poscia che pare che il signore voglia ch'esso muora, al quale è data maggiore podestà, che a noi non danno le nostre leggi, e può, come a lui pare, punire i gravi delitti, per essere egli la legge viva, io lascerei ch'egli se ne morisse, perché vi rimarreste voi sciolta del legame, col quale contrario fato vi ha a così mal uomo congiunta. - La misera giovane allora lagrimando, disse: - Non posso non dolermi sommamente, che tale si sia scoperto colui, cui io credeva che dovesse essere il riposo della mia vita; ma poi che così ha pur voluto il mio fiero destino, non voglio io mai acconsentire che, per essere libera da così fatto nodo, egli muoia; che, quantunque deliberato io abbia di più mai non esser con lui, per vergognarmi che uomo tale si sia meco congiunto, voglio nondimeno più tosto ch'egli viva tale quale egli è, che io, per simile morte, sia da lui sciolta. - Maravigliossi il giudice del buon animo di questa giovane; e per compassione ch'egli ebbe di lei, tanto operò, che persuase al signore che non volesse eccedere, quantunque egli ragionevolmente eccedere gli potesse, i termini delle leggi, e che gli bastasse che il reo si pubblicasse malvagio, con quella maggiore infamia che più piacesse a sua signoria; e quando ciò non volesse far per altro, io tacesse almeno per la molta virtù di quella giovane, cui strano avvenimento aveva a così fraudolente ribaldo congiunta. E qui narrò al Signore quel che la giovane detto gli avea. Il che inteso il signore, volle ch'egli fosse condotto per tutta la città con quel maggior vituperio che si facesse ad uomo mai: poscia gli fe' dare bando perpetuo, con condizione che, s'egli mai in quel paese venisse, fosse impiccato per la gola. E perché più non accadesse cosa simile nel suo stato, costituì per pubblica legge, che non fosse notaio alcuno a lui soggetto, che ardisse di fare pubblica scrittura, se non avea piena cognizione di amendue le parti, e ne' contratti de' denari non gli vedesse in effetto annoverare; con pena, che qualunque altrimente facesse, fosse condannato alla infamia, alla quale era stato condannato Apatilo.
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