(Da Gli Ecatonmiti, Deca quarta, novella III)
ANNIBAL CARO
IL CAPITANO COLUZZO
P
IOVE e siamo a l'osteria, e in una terra come questa dove non avemo né che fare, né che vedere. Vi scriverò dunque, così per mio passatempo, come per dar materia a Monsignore di ridere ed a voi di far più d'uno di quei vostri pasticci per condimento de la sua tavola, e per turar la bocca una volta, se sarà possibile, al capitan Coluzzo. Noi, per nostra buona fortuna, l'avemo trovato qui in persona sua propria, perché, quando c'è, se ne va sempre aliando intorno a quest'osteria, come il nibbio al macello, per iscroccare alle volte qualche pastetto da quelli che passano, come fanno i sonatori e i provisanti, raccontando or la Rotta di Ravenna, or il Sacco di Genova, e 'l più de le volte il Fatto d'arme de la Bicocca, per venire a quella segnalata fazione ch'egli celebra di lui stesso. Ed avendogli (credo) la sua sentinella riferito che v'era giunta una cavalcata di Roma, non sapendo chi noi ci fossimo, a dispetto de la pioggia che veniva giù a secchie, si calò subbito a la volta nostra. Né prima fu dentro a la porta, che da l'occhio buono si vide innanzi messer Ferrante. E come quelli che si debbe ricordare de i vanti che s'ha dati in casa nostra, d'esser in questa terra il secento, e de l'invito generale che più volte ha fatto a tutti noi altri, per sempre che passiamo di qua, ed a lui specialmente; scorto che l'ebbe, volle dar subbito volta. Ma Vittorio, che gli stava da l'occhio cattivo, quasi cozzando in esso lo fermò, e gli fece intorno quello schiamazzo che si suole a gli amici in così fatti incontri. Al suono del quale Ferrante corse a lui, ed io, ch'era di sopra, fattomi in capo de la scala, vidi e sentii tutto che passò tra loro. Voi sapete che figurette sono questi due. Fra l'uno e l'altro se 'l misero in mezzo, e poi che gli ebbero fatti gli accattamenti soliti: Eccoci qui, gli cominciarono a dire, noi siamo a Velletri, quel ch'avete tanto disiderato. Ora è tempo che veggiamo le vostre tante proferte dove parano. Il pover'uomo ammutì per un poco; di poi si mise in su l'interrogazioni: Sarebbe mai qui Monsignor nostro? che ci fate voi? dove andate? E Ferrante a lui: Dove andiamo saprei e poi; parliamo ora de lo stare. Monsignore non ci è; ma ci siamo ben noi, e conci come vedete, e se 'l povero Caro non alloggia questa sera meglio che tanto, è spedito. - Come, disse, il Caro è qui? Si, è, risposero, venite a fare il debito vostro. E vedendolo Ferrante nicchiare: O', soggiunse, non li volete far motto? Vergognossi a dir di non; e venendo, ancora che a male in corpo, mi fece accoglienza ed anco offerte, cotale a la trista; ed io a riscontro lo ringraziai, e non accettai. Ma Ferrante, rivolto a me, e facendomi d'occhio: Dunque, disse, avemo noi questa mattina detto male il paternostro di San Giuliano, poi che tutto giorno siamo stati così mal trattati da la pioggia, e da ogni sorta di disaggio, ed ora non ci volemo valere de la ventura che Idio ci ha mandata del Capitano? Questo oste è peggio che da mal tempo. Non ha se non vini cotti, provisione assai magra, cattiva stalla, cattive camere e letti dolorosi; perché avemo noi a far torto a noi stessi ed al Capitano, che sempre ha desiderato di renderne il cambio de l'ospitalita che gli è fatta in Roma, in casa di Monsignor nostro? e forse che egli non è ben agiato qui? forse che non si compiace d'esser ben fornito di casa, e d'ogni commodità? Ed io: Non, messer Ferrante; il Capitano, se bene è qui, è di passaggio, è soldato, è occupato più ne' maneggi de la guerra che de la casa. L'avemo colto d'improviso, bisogna che noi partiamo domattina di buon ora; non diamo questo disaggio a lui, ed a noi di levarne di qui per sì poco tempo; al ritorno, poi, ci lo goderemo più commodamente. Egli, parte con le spalle accettando quel ch'io dicea, parte volendo spacciar pur quella sua grandezza a credenza, s'andava avvolticchiando con le parole; quando Ferrante riprese a dire: Ah, faremo noi quest'affronto al Capitano, che in casa sua i gentiluomini di Gaddi alloggino a l'osteria? che dirà Silvestro, che l'ha sempre tenuto per un parabolano? Il che ude
ndo, il poveraccio s'arrostava stranamente. E non sapendo con che altro schermirsi, si volle servir de la mia fretta: e tentando s'io stava nel medesimo proposito di marciar la mattina seguente, e trovando di sì, si scusò d'aver poco tempo per farsi onore; e cominciò a richiederne che ci fermassimo per lo giorno da venire. E replicando io che non si poteva, gli parve d'averla còlta. Onde si mise a farne istanza, tanto più stringendone, quanto io più lo negava. Allora Ferrante di nuovo mi si rivolse, dicendo: E come volete partir domatina con questa pioggia? Voi non dovete sapere che 'l Buono si duole da un piede e che 'l Morello è inchiodato? volete voi disertar questi cavalli, e noi insieme con essi? Messa poi la mano su la spalla a lui: Fate pur (disse) le vostre provisioni. poi che non ci volete alloggiar d'improviso, che non è possibile per domani che noi partiamo. Era il Capitano verso la finestra, e cavando il capo fuori: Di qua (disse) il tempo è scarico; domani di certo non pioverà. Ed appresso: Qui abbiamo un buon mariscalco; andiamo a veder quel che bisogna a' vostri cavalli, che io so fare anco un incanto per guarirli. - A proposito, replicò Ferrante, io dico che non possiamo partir domani. E risentendosi un poco verso di me: Questi cavalli (disse) son pur di rispetto; io vi protesto che patiranno. Or pensate come il poveretto rimase; ché io, vedendolo perduto del tutto, per compassione e per vergogna che io ebbi in vece di lui, l'assecurai di voler partire in ogni modo, e che non mi tornava bene di levarmi da l'oste. Riebbesi tutto, e cominciò a cinguettare de le nuove di Napoli, e attaccar quel suo filo di sempre, per tirarne in su la giornata di Giaradadda. Quando eccoti comparire una baldracca, con la quale si vide poi ch'egli avea tenuto qualche comerzio carnale; una Ciccantona di questi paesi, sucida, ciacca, rancida, la più cenciosa e la più orsa feminaccia che io vedessi mai. Costei, nel passare, borbottò non so che verso lui; e parve che non s'arrischiasse a dirgli altro per rispetto nostro. Di che Vittorio avvedendosi, le tenne dietro destramente; e non so quello se le dicesse. Ma poco di poi ella tornò tutta infuriata contra al Capitano, e con le più sozze villanie del mondo gli s'avventò fino con le dita in su gli occhi, rimproverandoli una paga che l'avea truffata. In questo Ferrante si mise di mezzo; e facendo le viste d'accordarli, e parlando or con l'una, or con l'altro, trasse da ambedue cose troppo belle, ma non si possono scrivere. Basta che ci riesce materia da comedia. E la fine di questo primo atto fu che la Brifalda, volendosi far l'essecuzione da se stessa, gli volle sgraffignar di testa la berretta che porta con la medaglia e col pennacchio. E lo fece sì gentilmente, che 'l cuffiotto e 'l mastrozzo che vi tien sotto a la ramazzotta le cadde in terra. Considerate come l'amante rimase zuccone, calvo e con quel suo occhio bircio. Ella con la berretta in mano se ne fuggì a la volta d'un certo ridotto, e serrovisi dentro; e 'l Capitano, ricogliendo l'altre ciarpe di terra, si raffazzonò con esse il meglio che seppe. Dapoi, tenendole dietro, si mise a la porta di quella stanza a far l'atto secondo, con gridare e contrastar con lei che di dentro gli rispondeva. Si riduceva in quel loco un famiglia de l'oste, che, secondo s'intese poi, era amico ancor esso di lei,. e rival di lui: un fiorentinello chiacchierino, prosuntuosetto e tristonzuolo; e trovandosi dentro con essa, la imburiassava di quel che dovesse rispondere. Questa fu sì bella parte, che 'l Cantinella non la pensò mai tale, come essi la fecero da vero. E vi si rise tanto, che io per la doglia de' fianchi non potendo più soffrire, me n'andai ne la mia camera; dove, trovando la cena preparata, feci chiamar gli altri. Così Ferrante, lasciandoli ancora a le mani, se ne partì, e fecesi fine a l'atto secondo; perché il Capitano, avendo più fame che stizza, e imaginandosi dal partir de gli altri, che si desse a l'arme in cucina, si risolvé di lasciare o differire il conquisto de la berretta, più tosto che perder l'occasione di cenar con no
i, secondo che s'avea proposto di voler fare. E così com'era in cuffiotto, se ne venne in camera nostra, e senza altramente lavarsi le mani, s'acconciò gentilmente a tavola. Vedete come la bisogna è ita al rovescio, che in vece di menarci a casa sua ha voluto che gli paghiamo lo scotto a l'osteria. I motti, le frecciate e le spuntonate che gli si dettero sopra ciò, furono quelle poche; ma egli stette sempre sodo al macchione, e non si vide mai che levasse né le mani, né gli occhi dal piatto. Vittorio, tosto che lo vide impancato, se ne tornò di nuovo a quella sua diserta, e con lei e con Pippetto (che così si chiama il garzon de l'oste) consertò quel che le parve per dar materia al terz'atto. E ritornandosene a noi, si mise a negoziare una tregua tra la sudicia e lui; la qual conclusa, con una sospension d'offese tra essi, di mani però, ma non di lingua, non senza solennità gli fu calzata la berretta in capo; e di nuovo la lorda comparve insieme con Pippetto, il quale ci venne a servire a tavola. E ambedue conoscendo che volevamo il giambo se non ce lo diedero, non vaglia. Si misero intorno al povero Coluzzo, e pensate come io conciarono; che essendo egli così ben fornito com'è di lingua e di prosunzione, gli fecero perder la scherma de l'una e de l'altra; e de' bocconi, se non il numero, almeno il gusto. Oltre che lo smaccarono di tutto che s'era millantato in Roma de le grandezze e de le ricchezze sue di qua, non contentandosi di pungerlo come si deve gentilmente, ché lo trafiggevano e lo passavano fuor fuori, com'è solito de' villani e de' mal creati; e secondo i propositi, così gli davano i nomi appropriati; essa di vecchio, di guercio, di lordo; ed egli di furbo, di marniuolo, di scroccatore, et de simili. Né mancò mai loro che dire, perché quando Ferrante, quando Vittorio gli mettevano al punto, ed a loro la tavola istessa somministrava la materia. Cominciossi da la 'nsalata a ragionare di quel suo tanto celebrato giardino: Questi fiori, dicendo Ferrante, debbono esser de l'orto del Capitano. Bel tempo che debbe egli avere a diportarsi per esso con questa sua ninfetta. Come è egli bello, Nicolosa? Ed ella: E che giardino ha egli in questa terra? Rispose Pippetto: Quell'ortichetto, dove è su quel piè di sambuco? E Vittorio rinfrangendo: Come, non ha egli qui sì bella casa, sì bell'orto, si bella colombaia? - Ha, replicò Pippetto, un caserino mezzo rovinato e mezzo per rovinare. Il rovinato è quel loco che dice la Nicolosa pieno d'urtiche e di malva; e quel che è rimaso in piè è una sola stanza con una scala di fuori, per la quale si va su in un'altra. In quella di sotto sta l'asino e 'l porcello, e di sopra esso, le galline e i colombi insieme. - E la cantina, disse Ferrante, dov'è ella? - Tiene un botticello, rispose, a canto a la magnatura de l'asino. - Dice dunque il vero il Capitano, soggiunse Vittorio, che ne la sua casa sono tante stanze, poiché una sola sopplisce per tutte. - Così sta, continuò Ferrante; ma brindisi a quel suo vin crudo, che vi parrà altra cosa che 'l cotto de l'oste: e con un ciantellino e uno scrocchetto appresso. O buon vino (disse); voi dovete, Capitano aver questa vigna da sole. - Basta bien che l'abbia a l'aria, rispose Vittorio. E Pippetto, non senza risa di tutti, seguì subbito: In aria è forza che l'abbia, perché in terra non è ella; e non so che abbia filtro vino che quello che si busca con andar sempre a torno con le fogliette. A questo il Capitano, che si trovava aver fatto tanto schiamazzo a Roma di questa sua vigna, venuto in iscandescenzia: O', non l'ho io, disse, nel tal loco? - Quale? replicò Pippetto; quella dove son su quelle due viti di lambrusca? O' o' che vigna! Sapete quanto è grande? Un piè di ginestra, che v'è da capo, con l'ombra sua la cuopre tutta. E se questa s'ha da chiamar vigna, voi vi potete ben nominar Capitano. - O non è egli Capitano da vero? - disse Ferrante. Io l'ho pur veduto in Roma con la compagnia e favorito di molti Prelati. - Ed anco Menicola di Corte Savella, e Speranzino (disse Pippetto) son Capitani in Roma, ed hanno anco essi le lor compagnie, l
'uno de' birri, l'altro de' Zingari; e in questo modo può essere ancora Coluzzo de' furbi, de' pelamantelli e de' malandrini di questa nostra selva. E de' suoi favori non mi meraviglio io punto perché fra Stoppino e Tubera sono medesimamente favoriti ne la corte de' preti. I signori vogliono alcune volte de' pazzi intorno. Ma se conoscessero, come noi altri, quanto la sua pazzia sia pilosa ed appiccaticcia, non bazzicaria lor molto per casa; anzi lo tratteriano come merita. - E che meriti sono i suoi? disse Vittorio. La scopa, la gogna, la galera per lo manco. Il qual parlare parendomi troppo villano e fastidioso, fattolo tacere, mi levai di tavola. E così con la cena si finì l'atto terzo. Passeggiando poi si fece il quarto, con questo; che Ferrante pigliò per impresa che la tregua diventasse pace; e qui ci fu pur da dire e da ridire assai, per le difficoltà che nacquero nel capitolare tra Coluzzo e Pippetto, le quali a la fine si vinsero con distinguer le vicende. E la differenza di Nicolosa si acconciò con un bel carlino, che Ferrante si contentò di pagare del suo, facendosi al Capitano un queto generale di quanto pretendeva da lui. Così tutti rappatumatisi insieme, essi se n'andarono a fare il quinto atto senza noi. Ed io mi son dato a scrivervi questa come per argomento de la comedia tutta. Fatela distendere al nostro Comico, perché sia a ordine a la nostra tornata. Intanto, venendo egli a Roma prima di noi, buttategliene in canna qualche pasticcetto, come solete, per rintuzzanlo quando vi dà la baia de la vostra Tita. State sano.
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