Felice Venosta
CARLO PISACANE E GIOVANNI NICOTERA
(o LA SPEDIZIONE DI SAPRI)


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     "Mi disseterò nel sangue dei rivoluzionari" sclamò il Maniscalco, allorchè erasi in ogni luogo soffocata l'insurrezione; e re Ferdinando disse contento: "La diplomazia ammirerà anco una fiata la sagacia e la fortezza del mio governo." Se non che gli sguardi d'Europa tutta si rivolsero verso la sicula terra; la stessa diplomazia pronunciò parole di compassione; e Ferdinando e Maniscalco capirono che ove si fosse versato molto sangue, sarebbero stati messi al bando dei popoli, avrebbero suscitato il corruccio di qualche potenza. Tuttavolta vollero sangue. Francesco Bentivegna e Salvatore Spinuzza, il primo per sentenza d'un consiglio di guerra, il secondo per quella della Corte marziale, erano fucilati il giorno 7 dicembre 1856. Altri venivano pur condannati a morte; ma rimessi alla clemenza sovrana, la loro pena era commutata in diciott'anni di ferri nell'orrido ergastolo di Favignana, o nella così detta fossa di Santa Caterina(14). Tutti gli altri, fatti pur segno dall'ira del despota, venivano confinati per anni nelle più anguste prigioni a vivere vita miserrima.

     Francesco Bentivegna apparteneva sì ad un'illustre famiglia, ma era popolano di cuore. Natura lo dotava di anima ardente ed avversa ad ogni tirannide. L'odio alla dominazione borbonica era in lui un furore. Cospirò, e combattè per la libertà. Nella prigione, parlò poco, pensò molto; senonchè la sua fronte fu sempre serena, l'anima tranquilla, il cuore speranzoso della libertà italiana. Colà ebbe la visita della vecchia madre e d'alcuni amici. Prima di morire chiese un sorso di caffè; non volle essere bendato, e, scopertosi il largo petto, cadde ucciso dalle palle del Borbone, gridando Viva l'Italia!


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