Felice Venosta
CARLO PISACANE E GIOVANNI NICOTERA
(o LA SPEDIZIONE DI SAPRI)


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     Nella vita delle nazioni, come in quella degli individui, v'hanno istanti solenni, i quali decidono di tutto un avvenire; un'ispirazione luminosa, uno slancio generoso possono essere l'origine di felicità e di gloria; un istante di debolezza costa spesso anni di umiliazione e di servaggio. L'errore del Parlamento napoletano fruttò larga mêsse di lacrime e di sangue a quella già troppo sfortunata terra. Il re partì in fatti, il 14 dicembre, giurando che andava qual mediatore di pace, qual propugnatore dei diritti del suo popolo, e aggiunse che quando non ne conseguisse l'intento, a tutt'uomo difenderebbe colle armi la Costituzione. Tre mesi non erano per anco trascorsi, allorchè giunse novella che Ferdinando tornava a Napoli con cinquantamila Austriaci, comandati dal Frimont, per distruggere quella Costituzione che aveva giurato difendere. In riscatto dello spergiuro il Borbone appendeva a Firenze in voto ricchissima lampada alla Madonna dell'Annunciata(7).

     Alla nuova fremettero i popoli e corsero alle armi. Condotti dai generali Carrascosa e Guglielmo Pepe, quarantamila uomini di soldatesche regolari; a cui si erano unite molte milizie civili, mossero contro il nemico. Ma i capitani erano discordi, grandissima la diffidenza fra i generali e soldati. Il Pepe assalì il 7 marzo 1821 gli Austriaci a Rieti, e fu vinto. L'esercito napoletano si scoraggiò, e si disperse; e gli Austriaci con gran facilità entrarono in Napoli ai 23 marzo, in mezzo allo sbalordimento dei cittadini che "mesti pensavano alla perduta libertà e alla soprastante tirannide." E questa all'usanza dei Borboni fu crudelissima, avendo trovato Ferdinando nello scellerato Canosa un suo degno ministro. L'effusione di sangue fu tale che perfino l'Austria se ne commosse. L'imperatore scriveva al generale Frimont comunicasse al re Borbone, come ei reputasse migliore politica quella di martirizzare senza spargimento di sangue i rei di maestà. Il Borbone rispose che di per sè stesso non farebbe grazia a niun condannato, ma che siffatte essendo le imperiali intenzioni, ad esse pienamente si conformerebbe. E però invece d'impiccare quelli già sentenziati alla morte, nel suo cuore magnanimo stabilì che patissero trent'anni di ferri nell'orrida isola di Santo Stefano.


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