Felice Venosta
CARLO PISACANE E GIOVANNI NICOTERA
(o LA SPEDIZIONE DI SAPRI)


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     I grandi avvenimenti che occorrevano in Italia, i quali come terremuoto scuotevano la terra, la guerra bandita contro l'Austriaco, non potevano non commuovere l'animo di Carlo Pisacane, ansiosissimo di pugnare pel risorgimento della terra natale. Ond'egli, alla voce della patria che alla battaglia chiamava tutti i suoi figli, come colui che riceveva un invito da molto tempo atteso e desiderato, non poneva tempo in mezzo, e, il 24 marzo 1848, presentava al colonnello Mellinet la rinuncia al grado, dicendo reputare sacro dovere l'accorrere in patria mentre essa aveva bisogno del soccorso d'ogni buon italiano. Il colonnello Mellinet sottoponeva, a malincuore, ai superiori la dimanda del Pisacane; egli avvertiva essere la partenza di questi una grave perdita pel reggimento. Il generale Cavaignac, allora governatore generale dell'Algeria, spediva l'accettazione della rinuncia, accompagnandola con lettera in data 6 aprile in cui esternava al Pisacane il rincrescimento pell'allontanarsi di lui dal suo esercito. Non sì tosto in possesso di questa lettera, Carlo partiva per l'Italia, apportando alla sua difesa il tributo del suo braccio e de' suoi studi.

     Nel viaggio da Marsiglia a Genova appiccava amicizia col medico Giovanni Cattaneo, già da molti anni emigrato in Francia e uno dei partecipi all'antica spedizione di Savoia; e fu con esso lui che, giunto verso la metà di aprile a Milano, recavasi da Carlo Cattaneo. Il Pisacane credeva fosse tuttora quest'illustre statista membro di quei consigli e comitati che il caso aveva accozzati nei giorni della rivoluzione; e a lui domandava di essere ammesso nel nuovo esercito lombardo. Il Cattaneo poteva soltanto offrirgli di presentarlo al generale Teodoro Lechi. "Mi sta a memoria, scrive il Cattaneo, come lungo la via il popolo si fermava a mirare quel bel giovine in quell'insolito uniforme. Era con noi un altro officiale della Legione straniera, d'età più provetta, Angelo Todesco, israelita di Trieste. Il generale li accettò volontieri ambidue."


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