Felice Venosta
CARLO PISACANE E GIOVANNI NICOTERA
(o LA SPEDIZIONE DI SAPRI)


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     "In quel tragitto, ci disse uno della spedizione, patimmo tanta sete che credo fosse eguale a quella che soffersero i Crociati."
     Pisacane, Nicotera e Falcone non si perdettero di animo. Compresero anzi come fosse mestieri di ardite risoluzioni; raccozzatisi, tennero fra loro un breve consiglio, e statuirono di muovere per alla volta di Potenza. - Speravano ancora che il grido di libertà avrebbe accesi gli animi a virili propositi. In essi non nacque punto il pensiero che la tirannide avesse potuto attutire in quelle terre perfino l'ebbrezza di riabbracciare i fratelli proscritti.
     La sera del 30 giugno arrivavano in Padula. Ivi pure non amici, non segni di rivoluzione; ma un paese atterrito. E come la voce della vendetta gridava: all'armi, gli uomini o fuggivano spaventati, o si nascondevano. I popoli più bellicosi, i più devoti a libertà, quegli stessi che due volte in vent'anni, nel 1828 e nel 1848, osavano iniziare la rivoluzione, si mostravano allora imbelli e timidi schiavi della paura. Le sante ossa dei De-Luca, dei De-Mattia, dei Dei-Dominicis e dei Carducci fremettero certo di sdegno. A Padula, il Pisacane e il Nicotera trovavano i fratelli Sant'Elmo, i Romano ed altri, tutti cospiratori; parlavano loro, facevano conoscere l'urgenza di armarsi: "Noi abbiamo mantenuta la parola, dicevano: siamo qui, e voi che cosa faceste?" Promisero pel domani gente: ma il domani non si presentò nessuno.

     La voce dei fatti dell'isola di Ponza e dello sbarco a Sapri erasi tosto sparsa pel regno, per opera del traditore De-Leo. L'esecrato Ajossa, intendente della provincia salernitana, senza porre tempo in mezzo, prendeva tutti quei provvedimenti che meglio potevano valere ad impedire la riuscita d'un magnanimo proponimento. Spediva avvisi a tutti i paesi, sul cui territorio avevano a passare gli sventurati, ingiungendo di dar loro la caccia, come se fossero belve feroci, e di non concedere loro clemenza. Battaglioni di cacciatori, di gendarmi e di urbani vennero sguinzagliati. Le fregate a vapore della marina reale Amalia, Roberto, Ruggero e Vesuvio, con soldati dell'11° cacciatori, ebbero ordine di incrociare lungo le coste per guardarle da ogni sorpresa.


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