Felice Venosta
CARLO PISACANE E GIOVANNI NICOTERA
(o LA SPEDIZIONE DI SAPRI)


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     "- A Pisacane?
     "Sì, e domando che si eriga verbale della mia ricognizione." -
     Ciò detto, e mentre le mignatte si venivano staccando, una ad una dalla mano destra minacciata di amputazione, colla sinistra il Nicotera numerava i documenti, tra i quali erano parecchie lettere cifrate, e li contrassegnava tutti con una sigla, non potendo firmare colla mano sinistra. Si erigeva il verbale, nel quale ogni documento era notato e descritto.
     Giunti alla Nota campioni, il Nicotera la riprendeva colla sinistra, la guardava con indifferenza, e:
     "- Questa, diceva, non credo appartenesse al Pisacane. Contiene una serie di nomi di genere di commercio: l'avrà smarrita qualcuno dei nostri compagni, o si riferirà alle operazioni commerciali che il mio amico voleva fare in Sardegna." -

     L'Ajossa non vi badava più che tanto, poichè riponeva tutta la sua attenzione nelle lettere cifrate, e il verbale parlava della "Nota campioni" come d'una carta insignificante, e taceva delle figure che si trovavano accanto ai nomi.
     Le Autorità borboniche avevano già arrestato, Giovanni Matina, N. Libertini, F. Agresti, Michele e Nicola Magnone, Pasquale Verdolina e parecchi altri. Sul loro conto si avevano molti sospetti. Mancavano però le prove: ma quelle prove sarebbero state indubitabilmente raggiunte, se le lettere del Pisacane si fossero decifrate.
     Il giorno 10 luglio l'istruttoria dall'intendente Ajossa passava nelle mani del procuratore generale presso la Corte Criminale della Provincia di Salerno, Francesco Pacifico. Questi non si accontentò di compilare verbali: volle interpretare anche documenti, aiutato dal vice segretario Michele Orienzi; e però le cose andarono così per le lunghe che i dibattimenti non poterono cominciare prima del 29 gennaio 1858. Fu allestita all'uopo una nuova Corte nel soppresso monastero di San Domenico dove, era anche un quartiere. Gli accusati erano 286, e cioè i congiurati non rimasti sul campo di battaglia, l'equipaggio del Cagliari, ed alcuni passeggeri sospetti di connivenza col Pisacane e coi suoi compagni. Furono condotti nell'aula della Corte Criminale legati due a due, e vestiti, come se fosse estate, della giubba di tela grigia che era prescritta nelle carceri. La Corte era speciale, e consisteva nel Presidente, avvocato Domenico Dalia, nel procuratore generale, avvocato Francesco Pacifico, e in dieci giudici, due più dell'ordinario per provvedere in caso di malattia.


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