Felice Venosta
CARLO PISACANE E GIOVANNI NICOTERA
(o LA SPEDIZIONE DI SAPRI)


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     Gli articoli di Carlo Pisacane nell'Italia del Popolo tendevano principalmente a dimostrare come riescisse fatale alla libertà l'istituzione degli eserciti assoldati, e come fosse necessaria alla conquista dell'indipendenza l'attuazione del principio militare svizzero ed americano; per cui, all'uopo, ogni cittadino sa e può essere soldato. Nello stesso giornale egli parlò dei fatti di Roma sotto il punto di vista militare, e specialmente della spedizione di Velletri.
     Dopo tre mesi di sosta a Losanna, il Pisacane recavasi a Londra, dove conobbe i capi della democrazia francese ivi rifugiati. Favellando seco loro, si addentrò in que' sistemi sociali di cui egli cercava far tesoro, malgrado fossero altamente combattuti dal Mazzini ed anco oppugnati dai rifugiati italiani. Vuolsi poi che a Londra per campare la vita desse lezioni di lingua italiana e francese.

     Nella prima metà del 1850 traeva a Lugano, ove ravvivò l'amicizia con Carlo Cattaneo, pel quale nutrì i sentimenti della più alta ammirazione, come colui che professava le dottrine federative. Fu a Lugano che, nella calma di cui gli fu prodiga allora quella Repubblica, egli intese a importante lavoro, quasi a conforto delle sventure in cui versava l'Italia e a dolce rimembranza dei giorni degnamente spesi a pro della patria. Egli scrisse la narrazione su La guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49, che è forse l'istoria più dotta per istudi militari, e più fedele di quante se ne scrissero da amici e da nemici, da nazionali e da forestieri, intorno a quella fase dell'italiana rivoluzione. Ecco come il coscienzioso autore parla del suo libro: "Mentre una turba di scrittori, o servi di un partito ed apologisti di un uomo, o romanzieri più che storici, od ignoranti dei fatti e delle cause dei fatti, avevano completamente falsato la pubblica opinione riguardo agli avvenimenti militari di Roma, io fui il primo a parlare il vero, disprezzando i malcontenti e le suscettibilità che avrebbero sollevato il mio dire." In questo suo lavoro egli si appalesa Apostolo di que' principi politici, filosofici e sociali, i quali formano accumulativamente il simbolo della religione razionale. In varie pagine poi comprova come vano sia l'attendersi schietto ed efficace sussidio dai principi e dalla diplomazia a promuovere la causa della rivoluzione, e come la conventuale disciplina, inflitta alle soldatesche assoldate valga assai meno del fervore proprio delle milizie cittadine a conseguire la vittoria nelle battaglie della libertà. "Tutti, proclama egli, debbono essere militi e soldato nessuno. Nelle guerre nazionali il popolo tutto deve radunarsi al campo; nè deve esservi distinzione fra il soldato ed il cittadino; per cui la guardia nazionale riesce una di quelle assurde instituzioni, figlia del dualismo costituzionale, la quale rappresenta l'esercito del popolo posto a fronte coll'esercito del desposta."


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