Felice Venosta
CARLO PISACANE E GIOVANNI NICOTERA
(o LA SPEDIZIONE DI SAPRI)


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     Il Governo borbonico volle in ogni maniera vendicarsi del Nicotera. In generale i condannati politici venivano mandati a Santo Stefano, senza catena; esso inviò invece lui nelle terribili sepolture di Favignana, con trenta libbre di ferro al piede, in una fossa dove bisognava estrarre l'acqua, e dove visse parecchi mesi con due soldi di pane al giorno, senza mai venir meno a quella fortezza d'animo di cui aveva date tante prove. Fattogli intendere durante la prigionia come avesse potuto ottenere una grazia speciale, la respingeva disdegnosamente, scrivendone in questo senso ad un tal Angeleri. Egli era entrato in Favignana negli ultimi di agosto dell'anno 1858. La traduzione da Salerno in Sicilia, nell'ergastolo, era stata affidata con ordini severissimi a Michele Bracco, ufficiale della marina militare.

     E quando nel 1860, i Borboni accordarono il perdono, vi furono compresi gli Spaventa, i Poerio, i Pironti; il solo Nicotera ne rimase escluso, nè avrebbe riveduto la luce del sole, senza l'ardimentosa spedizione dei Mille.
     Giovanni Nicotera, visitato il Garibaldi, come potè acquistare tanto di forza da potersi muovere ed operare per l'Italia, si recava sollecito in Toscana, ed ivi assunse il comando di una brigata di volontari, che, in unione ad altre, sotto gli ordini del Pianciani, dovevano far guerra al Lamoricière per liberare Roma. L'impresa non potè aver luogo per l'opposizione del barone Ricasoli. Nel 1866 fece la guerra del Trentino come colonnello-brigadiere dei volontari. Nel 1867, alla testa di una schiera pure di volontari, dalla Terra di Lavoro penetrò nel territorio romano per iniziare la guerra di emancipazione di quella provincia; ma non fu punto assecondato nella sua nobile impresa.


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