A demolizione avvenuta si comincia a pensare anche alla costruzione della nuova chiesa, per la quale lo stesso Vescovo ne chiede conto: il Comune conferma di avere previsto un contributo di lire 200.000, di cui la metà sarebbe erogato subito; la costruzione sorgerebbe in piazza Garibaldi in un area di circa mq. 1400.
La sollecitazione del sottosegretario non è però recepita dal Prefetto, poiché Tincani è pienamente allineato alla posizione assunta dal Comune, e contesta la ritenuta illegalità della demolizione, attaccando invece duramente il Vescovo Micozzi: egli «non ha fatto mistero della sua aspirazione a divenire il benemerito costruttore di un nuovo tempio» e la sua preoccupazione in definitiva era quella non già della conservazione della chiesa, ma di procurarsi i fondi necessari per la costruzione di una «più vasta e più decorosa chiesa» da attribuire al patrimonio ecclesiastico. Continua sottolineando che i rapporti con il Vescovo sono rimasti cordiali sin tanto che «questi conservò la speranza di condurre a buon fine le sue aspirazioni di carattere finanziario», poi al ritorno a Teramo dopo la lunga malattia riprese il governo della Diocesi ed i rapporti mutarono. Questi tenne nei confronti del Podestà un silenzio ritenuto «strano, pertinace e irriguardoso», spalleggiato da Lorenzo Di Paolo, qualificato "sedicente" Rettore della chiesa di San Matteo. Quest'ultimo ha sollecitato l'intervento della Soprintendenza di L'Aquila, rimarcando l'importanza artistica della chiesa e facendo riferimento alla pubblicazione «reclamistica e di propaganda finanziaria» del 1934 di Salvatore Rubini, ritenuto «un modestissimo funzionario di Ragioneria che non ha mai conseguito alcun diploma di carattere artistico» (26). Il Comune, nonostante le «disagiatissime condizioni finanziarie», pur non avendone «l'obbligo assoluto» avrebbe compiuto il «massimo sforzo possibile». La questione della demolizione viene ritenuta da Tincani una montatura e di ciò anche la popolazione si sarebbe resa conto «disapprovando apertamente il contegno del Vescovo Mons. Micozzi». (26) In un'altra denigratoria relazione del Comune intitolata "Oratorio di San Matteo", ci si esprime in questi termini nei confronti di Salvatore Rubini, la cui produzione viene ritenuta «una scorribanda quasi turistica, da dilettante o, al più, da amatore di monumenti»: «l'autore è un ragioniere. E' attratto in modo sentimentale e impressionistico da ogni manifestazione architettonica del passato e specialmente dell'Evo antico e medio: effetto di questa sua impressionabilità un'abitudine, una idea sua, tanto fissa quanto sommaria e superficiale e frammentaria nel contenuto. In conseguenza ha una misura ed una valutazione delle cose che considera, ed anche delle sue stesse valutazioni sproporzionate, sfasate, quasi sempre inconsistenti. Ciò fondamentalmente e decisivamente, perché è privo di ogni cultura artistica e storica e di cultura generale. Questa posizione sua spirituale, tutta personale, lo porta qualche volta a cimentarsi nella espressione scritta delle sue imprecisioni. Non vi ha chi le abbia tenute in conto qualsiasi mai». Occorre peraltro sottolineare che l'accanimento di cui è vittima il Rubini ha verosimilmente una matrice ideologica: il fascismo, tutto proteso alla valorizzazione della romanità, identifica nel barocco uno stile degradato. Rubini invece nel suo lavoro prende decisamente le difese dell'ultimo monumento della città che possiede questa impronta, dopo la demolizione delle forme barocche del Duomo. |