Che il cerchio non sia affatto chiuso e che in effetti non esiste questa supposta identità di vedute tra Comune, Provincia e Curia lo si comprende dalla lettera che il Vescovo Micozzi, alle prese con serissimi motivi di salute, è costretto a scrivere da Roma al Podestà Adamoli. Da questo momento i toni del confronto tra le parti sono destinati a diventare particolarmente accesi: «Signor Podestà, debbo in via confidenziale farle conoscere che mi sono giunte e mi giungono continuamente lagnanze per la chiusura della Chiesa di San Matteo, chiusura che si teme motivata da futura demolizione. Non so quale fondamento possano avere tali lagnanze; la prego quindi di voler soprassedere a qualunque decisione in proposito sino al mio ritorno, e permettere la riapertura della Chiesa per non dare luogo in questi momenti a disguidi che si possono evitare. In caso contrario abbia la bontà di significarmi il motivo per cui la Chiesa debba seguitare a stare chiusa affinché io possa giustificare il provvedimento alla popolazione che si è rivolta a me». Contemporaneamente il Podestà riceve una lettera anche da Lorenzo Di Paolo, il quale gli fa presente che la promessa di ricostruire la chiesa non potrebbe essere comunque mantenuta, perché a causa dell'entrata in guerra dell'Italia (10 giugno 1940) è stata appena pubblicata una legge che vieta alle Province, ai Comuni e agli altri in genere di iniziare qualsiasi lavoro (25).
Adamoli mostra di non gradire l'esposto del parroco, ritenuto, come il Podestà riferisce al Vescovo, «quanto meno tendenzioso e poco riguardoso per la Vostra persona a cui, date le condizioni nelle quali vi trovate, doveva esservi risparmiato il fastidio procuratovi». Sulle ragioni della chiusura della chiesa rimane alquanto enigmatico, riconducendole ad urgenti ragioni di interesse pubblico, per la tutela della pubblica incolumità. Forse per non turbare il Vescovo malato egli non confessa pienamente le reali intenzioni del Comune, rimandando ogni discussione al ritorno di questi a Teramo. (25) E' la legge del 21 giugno 1940 n. 769 che in vista delle esigenze straordinarie della difesa della nazione prevede la riduzione delle spese dello stato relative ai servizi civili nei limiti strettamente indispensabili. Viene imposta la revisione degli stanziamenti di bilancio destinati alle spese straordinarie per opere pubbliche e alla spese ordinarie di carattere non obbligatorio. Anche ai comuni, all'articolo 3, viene imposto di «eseguire una revisione degli stanziamenti passivi inscritti nei rispettivi bilanci, per ridurre le spese nei limiti strettamente indispensabili al funzionamento dei servizi. Nessuna nuova spesa per opere, provviste o impianti, di carattere straordinario, può essere deliberata (...) a meno che non sia stata preventivamente riconosciuta indilazionabile dal Ministero dell'interno». |