I NIBELUNGHI


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     «Avete dunque dimenticato ciò che facemmo alla sorella vostra? Dobbiamo tenerci in guardia da Crimilde. Io con la mia propria mano le uccisi il marito; e noi andremmo nel paese di Attila?».
     Il re rispose:
     «La collera di mia sorella è svanita. Prima di abbandonare il paese ella ci baciò affettuosamente, perdonando ciò che le abbiamo fatto».
     Disse Hagen:
     «Non lasciatevi ingannare da questi messaggeri unni; se vi fidate di Crimilde perderete l'onore e la vita; è lunga la vendetta della moglie di Attila».
     Il re Gernot intervenne e disse:
     «Voi avete delle buone ragioni per temere la morte nel regno degli Unni; ma noi faremmo male a evitare la sorella nostra».
     E il giovane Giselher disse:
     «Poichè, amico Hagen, vi sentite tanto colpevole, rimanete qua al sicuro, ma lasciate che noi andiamo dagli Unni».

     Allora Hagen andò in collera e disse:
     «Se non volete ascoltarmi, ebbene verrò con voi».
     Anche Rumold, il capo delle cucine, era del parere di Hagen.
     «Rimanete qua», diceva, «dove non vi manca nulla. Avete belle vesti, il miglior vino, ottimi cibi. Si sta male nel paese degli Unni».
     Ma Gernot disse:
     «Non vogliamo restar qua, poichè mia sorella ci invita così cortesemente, e anche il ricco Attila. Chi non vuole venir con noi, rimanga».
     «Davvero», replicò Rumold, «io sarò uno di quelli che non vedranno mai la corte di Attila. Perchè dovrei arrischiare il meglio che possiedo? Voglio conservare la mia vita il più lungamente possibile».
     «Io farò lo stesso», disse Ortwein, il cavaliere, «mi occuperò con voi delle faccende di casa».


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