I NIBELUNGHI


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     Venne col proprio seguito la bella Crimilde e accolse i Nibelunghi con falso cuore. Baciò Giselher e lo prese per mano.
     Quando Hagen di Tronje vide questo, si aggiustò più saldamente l'elmo.
     «Dopo tale accoglienza», disse Hagen, «gli arditi cavalieri aprano gli occhi. Si salutano in altro modo i principi e i vassalli. Non abbiamo fatto un buon viaggio a venire a quest'invito».
     Ella disse:
     «Siate benvenuti a chi vi vede volentieri. La vostra amicizia non merita alcun saluto. Che mi portate dalle rive del Reno, perchè io vi abbia a salutare così particolarmente?».
     «Che significa ciò!», replicò Hagen, «forse che questi guerrieri dovevano portarvi dei regali? Non sono ricco abbastanza per portare doni nel paese degli Unni».
     «Allora vi domanderò una notizia; ditemi dove avete messo il tesoro dei Nibelunghi? Esso era mio, lo sapete benissimo; avreste dovuto portarmelo nel paese di re Attila».

     «In verità, regina Crimilde, sono molti anni che mi sono sbarazzato del tesoro dei Nibelunghi. I miei signori mi hanno comandato di gettarlo nel Reno, e là rimarrà fino al giudizio universale».
     La regina rispose:
     «Già lo avevo pensato. Non mi avete portato nulla di ciò che era mio. Per quel tesoro e per il suo signore ho passato ben tristi giornate!».
     «Vi porterò il diavolo!», disse Hagen, «ho già abbastanza da portare il mio scudo, la mia corazza, il mio elmo brillante, e la spada al mio fianco. Altro non vi porto niente».
     «Non era nemmeno mia intenzione di bramare dell'oro; ne ho molto per conto mio, e posso farne a meno del vostro. Ma io, povera donna, vorrei avere soddisfazione di un assassinio e di un doppio furto commessi a mio danno».


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