«Volesse Dio», disse Rüdiger, «nobile Gernot, che voi foste sul Reno e io fossi morto».
«Dio vi ricompensi del dono che mi faceste», disse Gernot, «e mi duole della vostra morte; ecco la buona spada che mi regalaste voi stesso. Con essa ho ucciso molti cavalieri. E se voi ci assalirete con essa vi toglierò la vita, e me ne dispiace, Rüdiger, per voi e per la vostra moglie».
Allora parlò Giselher:
«Volete rendere vedova troppo presto la vostra bella figliuola. Rammentatevi che io mi affidai a voi quando la presi in moglie».
«Dio ci tenga nella sua grazia», disse Rüdiger e, alzato lo scudo, si avviava coi suoi verso la sala. Ma prima parlò Hagen dalla scala:
«Aspettate un momento, nobile Rüdiger; lo scudo che mi diede dama Gotelinde me l'hanno frantumato gli Unni. Se avessi il vostro buono scudo non avrei bisogno d'altra difesa».
«Prendilo», rispose Rüdiger, «così potessi tu riportarlo nel paese dei Burgundi!».
Allora molti occhi si arrossarono di pianto. Era l'ultimo dono che faceva Rüdiger. E per quanto Hagen fosse feroce pure si commosse e disse:
«Dio ve ne premii, nobile Rüdiger, mai non ci fu un cavaliere pari a voi. La mia mano non vi toccherà nella battaglia, anche se uccideste tutti i Burgundi».
Rüdiger si inchinò ringraziando e tutti piansero. Volker, dalla scala, disse:
«Poichè il mio compagno Hagen vi offre la pace, faccio lo stesso anch'io. L'avete ben meritato».
Poi incominciò la mischia terribile. Gernot e Gunther si batterono da eroi, ma Giselher evitava sempre Rüdiger. Lo stesso facevano Hagen e Volker, ma i loro colpi contro gli altri facevano strage. Anche Rüdiger mostrava come fosse prode guerriero e uccideva molti dei Burgundi. Allora Gernot gridò:
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