Federico Adamoli
LA CHIESA PERDUTA
(La vicenda della Chiesa di S. Matteo di Teramo)


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     Il Vescovo di Teramo pro-tempore pose il veto alla soppressione, e dopo aver inutilmente tentato in via bonaria di far mutare il progetto, in prossimità dell'avvio dell'appalto dei lavori, nel 1901 citò in giudizio l'Amministrazione Provinciale, alla quale veniva decisamente contestato il diritto di arrogarsi la piena disponibilità del fabbricato - e coinvolgendo di conseguenza il Comune di Teramo, il Vicario-Curato di San Giorgio Emidio Forti, il Rettore del Regio Convitto, il Demanio dello Stato ed il Fondo per il Culto - dando vita ad una lunghissima ed intricata causa civile incentrata sulla esatta definizione del diritto di proprietà e su chi ricadesse il patronato della chiesa.
     Peraltro la posizione del Vescovo fu di ritenere che questo patronato fosse del Comune di Teramo, al quale spettava la tutela e l'obbligo al mantenimento e alla conservazione al pubblico culto. Con la causa civile intrapresa dal Vescovo, destinata a trascinarsi per un trentennio, la minaccia di soppressione venne congelata, poiché la Provincia fu costretta ad approvare la sospensione dei lavori di ampliamento del Liceo-Convitto (11).

     I problemi maggiori che afflissero la chiesa di San Matteo furono legati al precario stato di conservazione del tetto, che oltre a mettere in pericolo la stabilità della struttura contribuì al deterioramento degli elementi artistici. In verità lo stato di fatiscenza del tetto è di lunghissima data e già nel XVIII secolo, quando il controllo dell'edificio era esercitato dalle monache benedettine, a causa dell'incuria nella manutenzione della chiesa si verificarono dei gravissimi dissesti: come riferito dal Palma il 29 dicembre 1745 i tetti della sagrestia e del coro ed una muraglia crollarono seppellendo quindici suore, compresa la badessa, che restarono tutte uccise (12). Come già indicato tra le notizie artistiche della chiesa, nel 1934 Salvatore Rubini riferisce nella sua pubblicazione che la «vasta raffigurazione pittorica del soffitto» risulta «assai guastata, per l'infiltrazione di acqua dal tetto» e che nelle cartelle laterali vi sono alcune «figure in gran parte danneggiate dalla caduta dell'intonaco della volta».

(11) Di fronte all'impasse giudiziaria e all'impossibilità di dar seguito al progetto di ampliamento necessario al sovraffollato edificio scolastico, l'Amministrazione Provinciale nel dicembre 1909 deliberò di avviare gli studi per la costruzione di un nuovo liceo-convitto, da collocarsi in un' «area del cosiddetto largo della Misericordia» (intitolata nel 1905 a Vincenzo Comi, dal 1921 è l'odierna piazza Dante). Questa decisione scaturì dalla bocciatura da parte del Consiglio Provinciale Sanitario del progetto di ampliamento del fabbricato del 1908, ritenuto orami inadeguato alle «esigenze della moderna igiene». Il nuovo liceo-convitto di piazza Dante, che comprendeva oltre 300 vani e nel quale si trasferì pure la Biblioteca Delfico, fu inaugurato il 28 ottobre 1934 ("Atti del Consiglio Provinciale di Teramo", Anno 1909, Seduta del 17 dicembre, pagg. 225-231; Fausto Eugeni, "Piazza Dante e dintorni (1703-1960)", in "Annuario 1993-1994" del Liceo Ginnasio Statale "Melchiorre Delfico" di Teramo, Edigrafital, pagg. 189-221).

(12) Il tragico avvenimento viene così descritto: «Aveano le Monache di S. Matteo trascurato di ristorare il tetto della sagrestia e del coro, ed una muraglia ad esso attaccata, ch'era pur muraglia di clausura. Costò loro ben cara la negligenza, poichè nella sera de' 29 Dicembre 1745 mentre trenta Religiose recitavano in Coro la Compieta, caddero i cennati tetti e la muraglia, coprendone sotto le rovine quindici, compresa l'Abbadessa. Tutte e quindici rimasero morte, a riserba di D. Anna Catarina Salamiti, la quale fu estratta semiviva dalle macerie, e spirò due giorni dopo. De Leon (N.d.A.: colonnello Emanuele de Leon, comandante della provincia di Teramo) al primo annunzio corse a S. Matteo, ed allo zelo di lui si doverono i soccorsi, che si tentò apprestare a quelle infelici. Fece pur anche guardare di giorno e di notte il Monastero da due gentiluomini e da un picchetto di soldati, fino a che il muro esteriore non fu ricostruito». (Niccola Palma, opera citata, volume III, 1833, pagg. 212-213).


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