Sulla sorte della chiesa pesò anche l'intricata e lunga causa giudiziaria, in definitiva mai risolta, sull'effettivo riconoscimento del diritto di proprietà, che infine il Comune di Teramo rivendicò senz'altro nella sua pienezza, con la conseguenza che quanto disposto dal Concordato tra Vaticano e Stato italiano sulla demolizione di edifici sacri non era applicabile, anche in considerazione del fatto che la chiesa stessa risultava aperta al pubblico culto per un puro atto di tolleranza da parte del Comune. Esso si limitò a mettere al corrente gli ambienti vaticani dell'imminente demolizione, ma volle ignorarne la richiesta di sospensione, come rimase indifferente alla puntualizzazione che solo la Santa Sede avrebbe potuto dare il benestare, al di là del consenso espresso nel dicembre 1938 dal Capitolo aprutino, di cui il Comune invece si fece forza per dar luogo all'abbattimento.
Innegabilmente ci fu questo momento nel quale la Curia teramana manifestò il suo pieno consenso all'abbattimento, nella prospettiva di disporre anche di una nuova chiesa più funzionale alle esigenze di un'accresciuta popolazione; la stessa Sacra Congregazione del Concilio aveva poi richiesto di esaminare la convenzione stipulata tra Curia e Comune, che in effetti però non fu mai sottoscritta per l'accantonamento del progetto al quale si stava pensando in quel periodo (la costruzione della sede dell'I.N.F.I.L.). Anche se questa approvazione non può essere ritenuta una diretta responsabilità della Curia teramana, perché la posizione venne successivamente riconsiderata, ha evidentemente avuto un peso, forse determinante, sulla definitiva decisione di abbattere la chiesa (32). (32) Che tra gli ecclesiastici esistessero diverse correnti di pensiero circa le sorti della chiesa, lo si comprende dalle parole di uno scritto di Don Lorenzo Di Paolo dell'agosto 1936 indirizzato in Curia: «ho provato il più grande dispiacere nel sentirmi dire da autorevoli persone che Mons. Giovanni Muzj è contrario a S. Matteo». Lo stesso Muzj, per le polemiche scaturite in seguito alla demolizione, nel marzo 1942 rassegnò le dimissioni da Vicario Generale; queste dimissioni rimasero congelate per diversi mesi, quindi nell'agosto lo stesso Don Lorenzo gli subentrò in tale carica. |