Il primo di essi è la distruzione dei Burgundi per mezzo di Attila nell'anno 437 dopo Cristo.
Una cronaca del VI secolo riferisce i nomi dei principi burgundi: Gibeke, Gunther, Giselher, Godomar.
Dai resti dei Burgundi si sviluppò quindi un nuovo regno, che fu annientato dai Franchi nel 537. E qui intervengono le leggende franche che narrano come il re Clodoves avesse chiesto in moglie Crotilde, nipote del re dei Burgundi Gundobaldo, e come ella lo avesse seguìto, nonostante i saggi consigli di un ministro.
Ma questa principessa eccitò i Franchi a vendicarla della morte dei suoi genitori, avvenuta per mano di Gundobaldo. Evidentemente questa Crotilde è il prototipo della Crimilde della Canzone dei Nibelunghi, che, nella memoria dei popoli, si confonde con la feroce eroina germanica.
Quando la Canzone dei Nibelunghi, forse nel X secolo, si diffuse dal Reno verso l'est, si ampliò con l'intervento di Teoderico e dei suoi. In questo poema Attila non figura punto come un barbaro, ma piuttosto come un signore benigno. E Teoderico è mite, generoso, tendente alla conciliazione, come questi due principi appaiono nella poesia eroica gotica.
Ma sopra queste deboli basi storiche si sovrappone la favola nella sua magica grandiosità. La invulnerabilità di Siegfried, il suo combattimento col drago, il cappuccio che lo rende invisibile, il dominio su giganti e nani, il tesoro dei Nibelunghi, la forza sovrumana sua e di Brunilde, le ondine del Reno, non appartengono certo al mondo della realtà. Sono leggende lontane, oscure saghe, chi sa da quanto tempo nel dominio del popolo; in tutta l'antica poesia nordica vivono eroi e dèi che combattono con draghi e con giganti, che conquistano fantastici regni e favolose ricchezze. Già gli antichi Germani intrecciarono avvenimenti di Siegfried e Brunilde, che forse non sono se non favole di dèi, trasformati quindi in eroi terreni.
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