Allora suo fratello Giselher disse:
«Io penso, sorella mia cara, e tu puoi credermi, che re Attila saprà alleviare la tua pena e il tuo affanno, e, se tu lo prendi per marito, mi pare che farai bene. Egli ti potrà consolare», disse ancora Giselher.
«Dal Rodano fino al Reno, dall'Elba fino al mare, non si conosce nessun re più potente di lui. Tu puoi ben rallegrarti se egli ti sceglie come sua sposa».
Ella disse:
«Caro fratello, come puoi consigliarmi tal cosa? A me conviene solo piangere e lamentarmi. Come oserei presentarmi a quella corte, dinanzi a quei cavalieri? Se mai ebbi qualche bellezza, essa è sparita».
Allora dama Ute parlò alla cara figliuola:
«Fa ciò che i tuoi fratelli ti consigliano, figlia mia. Segui ciò che dicono coloro che ti amano. È troppo tempo che ti vedo immersa nel tuo grande dolore».
Crimilde pensava tra sè:
«Ma, se io mi dò a un pagano, io, donna cristiana, ne dovrò portare vergogna sulla terra. No, se anche mi donasse tutti i suoi regni, no, non devo sposarlo». E rimase tutta la notte in preda ai suoi pensieri, e non trovò mai quiete nel suo letto.
I suoi chiari occhi non si asciugarono, finchè all'alba ella tornò a andare alla messa.
Anche i re erano venuti in tempo della messa; essi presero per mano la loro sorella, e la consigliarono di sposare il re degli Unni. Ma la donna non si rallegrò punto.
Allora vennero chiamati gli inviati di Attila, i quali già si disponevano a prender commiato dal paese di re Gunther, sia che la risposta fosse di sì o fosse di no.
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