I NIBELUNGHI


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     «Alzatevi, nobili cavalieri, dai vostri seggi, e andate incontro a quelli che vogliono ricevervi. Ecco venire una schiera di guerrieri che mi è ben nota. Sono gli agili cavalieri degli Amelunghi. L'eroe di Verona li conduce, essi sono di animo orgoglioso, non sdegnate l'omaggio che vengono a offrirvi».
     Allora saltarono giù dai loro cavalli, insieme a Teoderico, parecchi signori e scudieri, secondo le regole della cortesia. Essi andarono verso gli ospiti, dove questi si erano fermati, e salutarono cortesemente i Burgundi. Quando il nobile Teoderico li vide avvicinarsi, ne provò insieme gioia e dolore.
     Egli sapeva bene come stavano le cose, e questo viaggio lo rattristava; egli pensava che anche Rüdiger sapesse e li avesse avvertiti.
     «Siate i benvenuti; signori Gunther, Gernot e Giselher e Hagen, e anche voi Volker e anche Dankwart, il veloce. Non sapete che Crimilde piange ancora l'eroe del paese dei Nibelunghi?».

     «Pianga quanto vuole», rispose Hagen, «sono tanti anni che è stato ucciso. Ami ora il re degli Unni, tanto Siegfried non ritorna più, è sepolto da un pezzo».
     «Lasciamo andare l'uccisione di Siegfried. Fintanto che Crimilde vive, bisogna temere qualche sventura».
     Così parlò il nobile Teoderico di Verona:
     «State dunque in guardia, o sostegno dei Nibelunghi».
     «Come dovrei stare in guardia?», rispose il re. «Attila ci ha mandato dei messaggeri, perchè venissimo qui nel suo paese. Che posso domandare di più? E anche Crimilde mi ha spedito più di una imbasciata».
     «Vi darò un consiglio», disse Hagen, «pregate il signore Teoderico e i suoi buoni cavalieri di spiegarvi meglio quali sono le intenzioni di Crimilde».


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