«Alziamoci», disse Volker, «dinanzi alla regina, se ci passa dinanzi, rendiamole onore, perchè è una nobile regina!».
«No, se mi volete bene», replicò Hagen, «questi guerrieri potrebbero avere l'illusione che lo facessi per paura e che intendessi di andarmene. Non mi alzerò per nessuno di loro. Ci conviene di rimanere seduti. E perchè dovrei io rendere onore a coloro che mi sono nemici? No, non lo farò finchè avrò vita. E del resto poco m'importa dell'odio di Crimilde».
Il temerario Hagen si pose sulle ginocchia la spada nuda, sul cui pomo splendeva un brillante diaspro più verde dell'erba.
Crimilde riconobbe subito la spada di Siegfried.
Riconoscendo la spada, tutto il suo dolore la riprese. L'impugnatura era d'oro, il fodero era rosso. Ella si ricordò della sua sventura e cominciò a piangere.
Io credo che l'audace Hagen l'abbia fatto apposta.
Volker si tirò più vicino sulla panca un archetto potente, lungo e forte, del tutto simile a una spada larga e acuminata.
I due arditi guerrieri stavano in atto superbo, senza mostrare ombra di paura.
La regina venne dinanzi a loro, e li salutò con terribile ira, dicendo:
«Ora ditemi, signor Hagen, chi vi ha inviato perchè abbiate osato di venire in questo paese, dove regno io, e sapendo il male che mi avete fatto? Se foste stato nel vostro buon senso, non sareste venuto».
«Nessuno mi ha mandato a chiamare», rispose Hagen, «tre cavalieri furono invitati a venir qui, e questi sono i miei signori; io sono al loro servizio. Non sono mai rimasto a casa, quando essi si recavano a qualche corte».
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