Essa riprese:
«Ditemi ora un'altra cosa. Che faceste voi per meritare il mio odio? Avete assassinato Siegfried, il mio caro marito, che fino alla morte non piangerò mai abbastanza».
Egli disse:
«Basta con queste parole inutili! Sì sono io quel Hagen che ha ucciso Siegfried, l'eroe dal braccio potente. Ah, come ha pagato care le ingiuriose parole che dama Crimilde ha detto alla bella Brunilde!
«Sì, senza mentire, potente regina, sono io la cagione di tutti i vostri mali. Adesso ne prenda vendetta chi vuole, uomo o donna. Non voglio negarlo, vi ho fatto molto male».
Essa esclamò:
«Udite, guerrieri, come egli si dichiara colpevole di tutte le mie sventure? Ora, qualunque cosa possa accadergli, io non me ne curo, o sudditi di Attila!».
Ma i coraggiosi guerrieri cominciarono a guardarsi e a parlare tra di loro.
E non osarono assalire i due eroi, e dicevano fra di loro:
«La vita mi è troppo cara; la moglie di Attila ci vuol rovinare».
E un altro:
«Nemmeno mi dessero mucchi di oro non affronterei quel suonatore. I suoi sguardi fanno paura. E quel Hagen lo conosco dal tempo della sua gioventù. L'ho veduto in ventidue assalti; ha fatto piangere molte donne. È un uomo feroce, e poi porta la spada Balmung, da lui malamente guadagnata».
Così nessuno cercava battaglia, e la regina ne provava amaro dolore. Volker disse a Hagen:
«Poichè vediamo noi stessi che qui siamo circondati da nemici, come ci era stato predetto, andiamo dai nostri re, perchè nessuno faccia loro offesa».
«Vi accompagno», rispose Hagen, e andarono insieme. Volker, l'ardito, cominciò a parlare forte e disse ai suoi signori:
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