Un immenso clamore scoppiò nella sala. Hagen con un colpo fece saltar via la testa del governatore del fanciullo, poi, veduto a tavola Werbel, il suonatore di violino, gli tagliò netta la destra mano dicendo:
«Questa è per la tua imbasciata nel paese dei Burgundi!».
Poi continuò a saziare la sua sete dà sangue, uccidendo qua e là i cavalieri di Attila che gli capitavano sotto mano.
Volker e i tre re burgundi erano balzati in piedi. Questi con la intenzione di placare gli animi, quello per dare aiuto a Hagen.
Ma quando Gunther vide che non era possibile calmarli cominciò a menar colpi pur egli, e lo stesso fecero Gernot e Giselher. La mischia divenne, terribile, le spade lampeggiavano nella sala del re che echeggiava di urli e di lamenti.
Quelli di fuori volevano entrare per aiutare gli amici; quelli di dentro volevano uscire; ma Dankwart, all'uscio della scala, non lasciava entrare nè scendere nessuno. Tutti cercavano di colpirlo e egli era in grande pericolo. Suo fratello se ne accorse, e gridò a gran voce a Volker:
«Vedete là mio fratello sotto i colpi degli Unni? Soccorretelo presto».
«Subito», disse Volker; attraversò la sala si piantò dinanzi alla porta e disse a Dankwart:
«Tenete la porta di fuori e io la terrò di dentro, sarà come se avesse mille chiavistelli».
Hagen ricominciò a menare strage. Quando Teoderico vide come spezzava elmi e teste, saltò sopra una panca e gridò:
«Hagen mesce qui la bibita più amara».
Frattanto la regina e lo stesso Attila erano in grave pericolo.
Crimilde chiamò Teoderico:
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