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Molte volte la vidi col Rosario in mano, e mi ricordo, che un giorno, in quell'atteggiamento, mi domandò, con vero amore di madre, come andavano le mie cose religiose.... Il giorno seguente mi recai dal mio vecchio amico Helzel, mercante di pianoforti: ne scelsi uno piccolo, verticale e gli ordinai di mandarlo il giorno dopo da D.a Amalia Colonna: a Lei dissi, che per tutto il tempo che sarei restato a Napoli, avrei tenuto quel pianoforte tra la porta della sua camera da letto e l'ultima finestra della stanza vicina, perché tutti i giorni potesse udire la musica, che desiderava da me. Sorrise angelicamente e mi ringraziò assai, perché la musica era una delle sue passioni e, tanto ammalata, non solo non cantava più, ma da un anno, stando sempre a letto, non aveva più potuto sentire una nota. E così le cantavo spesso le più belle melodie, specialmente di Bellini, e molte delle più recenti composizioni mie e di altri maestri e musicisti a lei cari. Ella trovava tutto bello, poverina, perché io così la distraeva dai suoi dolori e in quell'istante la rendevo felice. (11) Io era allora quasi un fanciullo e mi ricordo di avere scritto, a premura di mio Zio, il Canonico D. Antonio Bindi, le epigrafi, che furono apposte nel tumolo. |