Ancor piu' insorge il censore contro il capitolo XXIII. Una madre aveva due figlie, che avevan perduto di buon'ora la loro verginita': la maggiore si chiamava Oolla, la minore Ooliba: «Oolla ando' pazza per dei giovani sign ori, magistrati e cavalieri; fornico' con gli egiziani fin dalla sua prima giovinezza... Ooliba, sua sorella, fornico' ben piu' con ufficiali, magistrati e bei cavalieri; mise a nudo la sua turpitudine, moltiplico' le sue fornicazioni, ricerco' con ardore gli amplessi di coloro che hanno il membro grosso come quello di un asino, e che spandono la loro semenza come cavalli...»
Queste descrizioni, che scandalizzano tanti cervelli deboli, stanno solo a significare le iniquita' di Gerusalemme e di Samaria: le espressioni, che ci sembrano troppo libere, non lo erano allora. La stessa ingenuita' si palesa senza timore in piu' di un passo della Scrittura. Vi si parla spesso di aprire la vulva; i termini che servono a indicare l'accoppiamento di Bo'oz con Ruth, di Giuda con la nuora, non sono affatto disdicevoli in ebraico, mentre lo sarebbero nella nostra lingua.
Non ci si copre con un velo quando non ci si vergogna della propria nudita'; perche' a quei tempi si sarebbe dovuto arrossire nel nominare i genitali, se quando qualcuno faceva una promessa a qualcun'altro gli toccava, appunto, i genitali? Era un segno di rispetto, un simbolo di fedelta', come in altri tempi, da noi, i signori dei castelli mettevano le loro mani tra quelle del loro sovrano.
Noi abbiamo tradotto i genitali con «coscia». Eleazaro mette la mano sotto la coscia di Abramo, Giuseppe mette la mano sotto quella di Giacobbe. Questo costume era antichissimo in Egitto. Gli egiziani erano cosi' lontani dal ritenere indecente quel che noi non osiamo ne' scoprire ne' nominare, che portavano in processione un'enorme immagine del membro virile, chiamato phallum, per ringraziare gli dei della bonta' che essi hanno di far servire questo membro alla propagazione del genere umano.
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