Cicerone, nelle sue opere filosofiche, non lascia nemmeno sospettare che si potesse ingannare nei riguardi delle statue degli dei e confonderle con gli dei stessi. I suoi interlocutori lanciano fulmini contro la religione ufficiale; ma nessuno di loro si sogna di accusare i romani di scambiare dei pezzi di marmo o di bronzo per delle divinita'. Lucrezio, pur cosi' severo contro i superstiziosi, non rimprovera questa sciocchezza a nessuno. Dunque, ancora una volta, questa opinione non esisteva, non se ne aveva nessuna idea: non c'erano idolatri.
Orazio fa parlare una statua di Priapo, e le fa dire: «Io una volta ero un tronco di fico; un falegname, non sapendo se fare di me un dio o un sedile, decise infine di farmi dio» ecc. Che dobbiamo concludere da questa storiella faceta? Priapo era una di quelle divinita' inferiori, di cui era permesso ridere; e questa stessa storiella e' la prova piu' certa che la figura di Priapo, che veniva posta nei frutteti per spaventare gli uccelli, non era molto riverita. Dacier, abbandonandosi al suo spirito di commentatore, non ha mancato d'osservare che Baruch aveva predetto questo fatto, dicendo, «Essi non saranno altro che quello che vorranno gli artefici»; ma poteva anche osservare che si puo' dire lo stesso di tutte le statue.
Si puo' trarre, da un blocco di marmo, tanto una conca che una statua di Alessandro o di Giove, o di qualcuno ancor piu' rispettabile. La materia di cui erano fatti i cherubini del Santo dei Santi avrebbe potuto servire ugualmente alle funzioni piu' vili. Un trono, un altare sono forse meno riveriti perche' l'artefice avrebbe potuto farne invece una tavola da cucina?
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