disse il padre, «e avvenga quel che puo'; ma io non voglio che il seme d'Abramo sia annientato.» L'esseno, spaventato da questo orribile proposito, non volle piu' restare con un uomo che trasgrediva tanto la legge, e fuggi'. Il novello sposo aveva un bel gridargli: «Restate, amico mio; osservo la legge naturale, servo la patria, non abbandonate i vostri amici.»
L'altro lo lasciava gridare, ossessionato dalla legge, e fuggi' a nuoto nell'isola vicina. Era la grande isola d'Attolo molto popolosa e molto civile; non appena vi approdo', lo fecero schiavo. Imparo' a balbettare la lingua attolica; si lamentava amaramente del modo inospitale con cui l'avevano ricevuto; gli dissero che quella era la legge, e che, da quando l'isola era stata sul punto d'essere sorpresa dagli abitanti di Ada', si era saggiamente decretato che tutti gli stranieri che fossero approdati in Attolia venissero fatti schiavi. «Non puo' essere una legge,» disse l'esseno «perche' non e' nel Pentateuco.» Gli risposero che pero' era nel Digesto del paese, e cosi' resto' schiavo: per sua fortuna, aveva un ottimo e ricchissimo padrone, che lo tratto' bene, e al quale si affeziono' molto. Un giorno degli assassini vennero per uccidere il padrone e rubare i suoi tesori; chiesero agli schiavi se il padrone era in casa, e se aveva molto denaro. «Vi giuriamo,» dissero gli schiavi, «che non ha un soldo, e che non e' in casa.» Ma l'esseno disse: «La legge non permette di mentire; vi giuro che e' in casa, e che ha un sacco di soldi.» E cosi' il padrone fu ucciso e derubato. Gli schiavi accusarono l'esseno davanti ai giudici di aver tradito il padrone; l'esseno disse che non voleva mentire, e che non avrebbe mentito per niente al mondo; e fu impiccato. Mi raccontavano questa storia, e molte altre, nell'ultimo viaggio che feci dall'India in Francia. Arrivato, andai a Versailles per certi miei affari; vidi passare una bella donna seguita da molte altre bellezze. «Chi e' quella bella donna?»
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