chiesi al mio avvocato in parlamento, che era venuto con me: perche' avevo un processo in parlamento a Parigi per gli abiti che m'ero fatto fare nelle Indie, e volevo avere sempre a fianco il mio avvocato. «e' la figlia del re,» disse; «e'
incantevole e di ottimo cuore; peccato che in nessun caso possa diventare regina di Francia.» «Come!» gli dissi, «se le toccasse la disgrazia di perdere tutti i suoi parenti e i principi del sangue (Dio non voglia!), essa non potrebbe ereditare il regno del padre!» «No,» disse l'avvocato, «la legge salica vi si oppone formalmente.» «E chi ha fatto questa legge salica?» chiesi all'avvocato. «Non ne so niente: ma si pretende che presso un antico popolo, detto dei sali, che non sapevano ne' leggere ne' scrivere, esistesse una legge scritta la quale diceva che in terra salica una ragazza non puo'
ereditare nemmeno un podere; e questa legge e' stata adottata in terra non salica.» «E io,» dissi, «la abrogo; mi avete assicurato che questa principessa e' dolce e generosa; dunque avrebbe un diritto incontestabile alla corona, se sventura volesse che non restasse altri che lei di sangue reale: mia madre ha ereditato da suo padre; e voglio che una principessa erediti dal suo.»
L'indomani la mia causa fu giudicata in una camera del parlamento, e la perdetti per un voto; il mio avvocato mi disse che l'avrei vinta per un voto in un'altra camera. «Questa poi e' comica,» gli dissi. «Dunque, ad ogni camera una legge.» «Si',» disse, «ci sono venticinque commenti sul diritto consuetudinario di Parigi; vale a dire che si e' provato venticinque volte che il diritto consuetudinario di Parigi e' equivoco; e, se ci fossero venticinque camere di consiglio, ci sarebbero venticinque giurisprudenze diverse. Abbiamo,» prosegui', «a venticinque leghe da Parigi una provincia chiamata Normandia, dove sareste stato giudicato in tutt'altro modo.» Questo mi fece venir voglia di vedere la Normandia. Vi andai con uno dei miei fratelli. Incontrammo, nella prima locanda, un giovane che si disperava; gli chiesi quale fosse mai la sua sventura, mi rispose che era quella d'avere un fratello maggiore. «Ma che sventura e' avere un fratello maggiore?» gli dissi; «mio fratello e' maggiore di me, e viviamo benissimo insieme.» «Ahime', signore» mi disse, «qui la legge da' tutto ai maggiori e non lascia niente ai minori,» «Avete ragione,» dissi, «d'essere in collera; dalle mie parti si divide in parti uguali, e non per questo, a volte, i fratelli si amano di piu'.»
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