Data la situazione, i personaggi principali e un certo numero di personaggi secondari ricorrenti, cui si aggiunge la folla innumerevole degli avventizi, l'intreccio è sostituito dalla giustapposizione di episodi, che formano come un ciclo di storie: quando usavano, avrebbero potuto venire in mente le collezioni di dispense di avventure a pubblicazione periodica.
Romanzo per ragazzi. "Meravigliose e fantastiche avventure, in cui han parte animali parlanti e divinità", come dice Giuliano Bertuccioli nella sua Storia della letteratura cinese, evocando il rischio che il Xiyou Ji sia una lettura che possa interessare o essere sopportata soltanto da ragazzi. Un destino non perverso, per romanzi popolari invecchiati. Comunque sono molti i libri (popolari e non) in cui parlano bestie, da Aristofane, a Renart, a La Fontaine, a Kafka; e infiniti quelli in cui intervengono divinità, dai poemi omerici, a Dante, a Milton, a Brecht. Ed è bene che i ragazzi si misurino con tutti i testi cui riescono ad appassionarsi.
Eppure, chi voglia inserire il libro nella letteratura infantile, lo assegni almeno allo speciale settore riservato ai fanciulli tristanzuoli e destinati a finir sulla forca, più che per il linguaggio un po' sboccato (son fiorellini rispetto, per esempio, a Rabelais), o per la buffa violenza, perché nelle sue pagine non c'è alcun rispetto per la religione.
La suprema divinità taoista, l'Imperatore di Giada, con rispetto parlando, è un vecchio scemo, pavido e vanitoso; c'è gusto a mancargli di rispetto e non è difficile tenere in scacco la sua ridicola onnipotenza burocratica. Il patriarca del Tao, Laozi, è un vecchio burbero un po' svanito, benché si faccia rispettare per la sua competenza (e vera passione) per la tecnologia dei materiali.
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