Come una tigre bianca il randello dell'uno,
Il bastone dell'altro come un drago in agguato.
Se l'uno schiaccia l'erba per scovare il serpente,
L'altro abbatte il sambuco e sa spaccare il pino.
Lottarono fra loro finché cadde la notte
E le stelle brillarono sopra le oscure nebbie.
La ferocia dell'uno regnava sopra le acque,
L'altro è alla prima prova dopo la sua partenza.
Si erano scontrati diecine di volte, scendendo e risalendo lungo la sponda, senza vincitore né vinto, quando il mostro, mentre parava un colpo della sbarra di ferro, chiese: "E tu, monaco, da dove vieni per opporti a me?"
"Sono il secondo figlio del re celeste Porta Pagoda e mi chiamo Moksa, in religione Hui'an. Proteggo il mio maestro che va nell'Est a cercare un pellegrino che parta alla ricerca dei sutra. E tu, che mostro sei per avere l'audacia di ostacolarci?"
"Ricordo che seguivi gli studi presso la Guanyin dei mari del Sud, nel boschetto di bambù. Ma che ci fai qui?"
"Non è appunto il mio maestro, là sulla riva?"
A queste parola il mostro balbettò scuse, abbassò il bastone e si lasciò guidare da Moksa davanti a Guanyin, che salutò a testa bassa. Dichiarò: "Compassionevole pusa, scusate il mio sbaglio e consentitemi di spiegare. Non sono un mostro, ma l'ufficiale superiore delle cortine arrotolate, addetto al carro imperiale, in servizio nella Sala delle Nuvole Misteriose. A una Festa delle Pesche di Immortalità mi sfuggì di mano una tazza di cristallo e si ruppe; l'Imperatore di Giada mi condannò a ottocento frustate e all'esilio nel mondo di Sotto. Ogni settimana mi mandano spade volanti, che mi pungono i fianchi più di cento volte prima che le richiamino. Ecco come mi sono ridotto in questo misero stato. La fame e il freddo mi tormentano, e io mi difendo come posso: ogni due o tre giorni devo uscire dall'acqua e trovarmi un viandante da mangiare. Mi dispiace di non avervi riconosciuto: non avrei mai pensato di incontrare la grande compassionevole in un posto così."
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