Scimmiotto non era persona da incassare e star zitto, e le parole di Tripitaka lo punsero sul vivo. Montò su tutte le furie e gridò: "Non una parola di più! Vi farò vedere io chi la spunterà!"
Il re scimmia ritornò a gran passi sulla riva del torrente e usò i poteri magici che consentivano di far risalire i fiumi e di sollevare gli oceani. Le acque limpide che scorrevano nella gola del Dolore dell'Aquila sollevarono grandi ondate fangose, violente come quelle del Fiume Giallo dai Nove Meandri quando è in piena. Sul fondo del torrente non si poteva stare in pace, né seduti né coricati. Il drago pensava: "La fortuna non ti sorride mai due volte, e le disgrazie non vengono mai sole. Sono sfuggito per un pelo a una condanna a morte, nemmeno un anno fa, e pensavo di starmene qui a vivere tranquillo, quando mi viene a cercare questo fanatico attaccabrighe."
Più ci pensava e più si arrabbiava. Alla fine non ce la fece più; saltò fuori dall'acqua digrignando i denti e urlando: "Ma insomma, maledetto, da dove sbuchi per perseguitarmi così?"
"Che cosa ti importa, da dove sbuco? Ridammi il cavallo, e i conti sono pari."
"Ma l'ho mangiato, il tuo cavallo, sta dentro la mia pancia. Come faccio a rendertelo? E se non te lo do, che cosa succede?"
"Se non me lo dai, succede che assaggi il mio bastone. In cambio della vita del cavallo ammazzerò te, e i conti saranno pari lo stesso."
Ripresero a combattere, ma presto il giovane drago si sentì esausto; allora si scrollò e si trasformò in una biscia, che strisciò via tra le erbe della riva. Il re scimmia lo inseguì con il suo randello, ma per quanto frugasse tra l'erba non trovava traccia del piccolo rettile. Era tanto indispettito che le sue tre divinità parassite interne scoppiarono e mandavano fumo dalle sette aperture del suo corpo. Recitò l'incantesimo della sillaba om per convocare la divinità locale e il dio della montagna; entrambi si vennero a inginocchiare davanti a lui e dissero: "Eccoci!"
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